La startup X-Crop e l’università Bicocca sperimentano un sistema per coltivare in mare. Preparandosi a quando sulla Terra saremo 9 miliardi di persone
Pietro Deragni
(Foto: X-crop, Uni Bicocca)
Coltivare il mare. Per la letteratura è quello che si suol dire un adynaton, una cosa impossibile, come i cervi di Virgilio che pascolano in cielo. Per la tecnologia, invece, è tutto possibile. E già a portata da mano: c’è una sperimentazione in corso tra l’università Bicocca di Milano e una startup londinese, X-Crop. Ma facciamo un passo indietro, alle premesse: perché occupare gli oceani con i campi? Il problema è far quadrare i conti tra la popolazione mondiale che crescerà del 50% entro il 2050, toccando quota 9 miliardi di individui (la stima è delle Nazioni Unite), e la superficie di terra coltivabile, che non potrà aumentare con lo stesso ritmo. Secondo gli esperti, per dare da mangiare ai nove miliardi di futuri terrestri bisognerebbe allargare i campi arati del 70%. Lo spazio però è quasi esaurito, mentre sono sgombri i 360 milioni e 700mila metri quadri coperti dagli oceani.
Così Idrees Rasouli, fondatore e amministratore delegato della startup X-Crop, si è domandato: perché non trasformare il mare in un campo? Ricercatore all’istituto Innovation design engineering del Royal College of Art di Londra, Rasouli ha brevettato un sistema di coltivazione fuori suolo che può galleggiare sul mare. Sealeaf è il nome del prototipo che sarà sperimentato al Marhe Center, l’istituto di ricerca marina che l’università Bicocca di Milano ha aperto nel 2011 alle Maldive, sull’isola di Maghodoo.
L’idea di Rasouli in realtà combina due sistemi già ben conosciuti. Il primo è la cara vecchia zattera: i moduli galleggianti di Sealeaf non sono altro che una versione high-tech delle imbarcazioni a fondo piatto e si ispirano a metodi di coltivazione in uso nel Sudest asiatico. Il secondo elemento è l’agricoltura idroponica, ovvero fuori suolo, e che è già stata messa alla prova in campi verticali sperimentali. Il ricercatore inglese però prova a risolvere altri due problemi. Il primo è l’innalzamento del livello dei mari, che già nel 2035 metterà alla prova le coste dove si affacciano alcune delle più grandi megalopoli mondiali (come il versante atlantico degli Stati Uniti), sottraendo altra terra alle coltivazioni. Il secondo è il costo sempre più alto dei fondi agricoli intorno alle città. In media, una fattoria urbana paga 625 euro un metro quadro di terra arabile. Così, collegando gli elementi, dal prezzo delle rendite fondiarie alla necessità di coltivare vicino alle città per contenere i costi di trasporto, dall’aumento del livello degli oceani al fatto che oggi 18 delle 21 megalopoli mondiali si affacciano sul mare, lo studioso ha trovato nell’agricoltura marina la soluzione.
“I moduli permettono di abbattere i costi di trasporto e di affitto di terreno”, spiega l’inventore. Il progetto prevede di ancorare le zattere sotto costa, dotandole di un motore che, al momento opportuno, possa trasportare direttamente frutta e verdura ai mercati generali, risparmiando sulla logistica. Dal punto di vista economico, un metro quadro di terra galleggiante costa 125 euro, 500 in meno delle coltivazioni su suolo. L’energia è pulita, dal calore del mare al solare, e l’irrigazione è assicurata dalla raccolta di acqua piovana. E ogni isolotto artificiale può dare fino a otto raccolti. Rasouli spiega di aver pensato Sealeaf “per i Paesi sudiasiatici. Per altre zone dovremmo pensare ad accorgimenti per lo sfruttamento delle energie rinnovabili”. La partita è aperta.