di Eugenio Benetazzo
L’escalation di contestazione sul piano mediatico che sta colpendo l’attuale governo fa percepire come la possibiità di una nuova chiamata alle urne verso Marzo 2015 sia verosimilmente plausibile. Le recenti valutazioni che ha evidenziato il Financial Times ad inizio settimana riguardo la sostenibilità finanziaria del debito pubblico italiano, ormai completamente fuori controllo, devono far preoccupare oggettivamente i loan country buyers, leggasi gli acquirenti e detentori di titoli di stato italiani. Non aspettate il salvatore della patria, lasciate perdere lo show dei proclami che sta andando in scena da oltre sei mesi, iniziate a liberarvi dei suddetti titoli italiani quanto prima. Questa volta la sirena vi avvisa con largo anticipo. Anche Corrado Passera, che dovrebbe essere il futuro nuovo primo ministro italiano, ha espresso l’ennesimo giudizio all’unisono su chi sta guidando il Paese dalla scorsa primavera. Matteo Renzi è un bluff, quando il Paese se ne accorgerà sprofonderà nell’oblio, è privo di visione, naviga a vista e soprattutto è circondato da persone dalla modesta, se non insignificante competenza. Così l’ex ministro del Governo Monti si è recentemente espresso ai microfoni di Radio 24.
Stando ai rumors di mercato, a far cadere Renzi potrebbe essere il suo ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, che non ha alcun desiderio di veder rovinata una carriera professionale trentennale per sei o nove mesi di appartenenza all’ennessimo governo detronizzato. Sostanzialmente Padoan vorrebbe evitare di finire come Mario Monti, il cui prestigio professionale è stato ampiamente compromesso dalla sua stessa esperienza di governo. Fallimentare su molti fronti. Renzi ormai può essere considerato un PR che vive in un mondo tutto suo: chi crede infatti che il Paese possa riprendersi grazie alla riforma del Senato, alla finta abolizione delle provincie o la recente proposta di abolizione dell’articolo 18 farà la stessa fine di quei poveri babbei che hanno comperato bitcoin durante la scorsa estate a 650$ ed ora se lo ritrovano a 400$ con una svalutazione del 40%. Una sorte simile potrebbe capitare anche ai detentori di debito italiano. Su questo punto facciamo una riflessione. Quando Mario Monti subentro a Berlusconi nel 2011 e lo spread era oltre 500 sui titoli di stato, il Paese paradossalmente stava molto meglio di oggi in cui lo spread è costantemente sotto la soglia di 150 punti.
Il tutto sembra irragionevole in quanto i parametri macro-economici che rappresentano il Paese sono decisamente più compromessi rispetto a tre anni fa: pensiamo solo alla disoccupazione, al rapporto debito/pil o al livello di tassazione complessivo. Dalla ICI alla Tasi, passando per l’IMU, il drenaggio fiscale sugli immobili è praticamente triplicato, senza dimenticare la tassazione sui risparmi e i vari balzelli sulle accise. Gli italiani in termini di ricchezza finanziaria stavano sicuramente meglio in epoca pre-montiana quando lo spread era oltre 500. I moniti che arrivano dagli organismi sovranazionali, dalle agenzie di rating e dagli investitori istituzionali riguardo alle famose riforme tanto sbandierate ma non implementate alimentano un rischio scenario che da incerto è diventato oggettivamente pericoloso. Gli hair cut sul debito italiano sono sempre più verosimili, ma mentre nei Paesi in cui sono stati intrapresi, a subirne le conseguenze sono stati proprio gli investitori esteri privati, nel caso italiano questo scenario diventa grottesco in quanto produrrebbe un ulteriore depauperamento di ricchezza per la nazione. Ricordiamo infatti che proprio gli stessi italiani detengono ormai oltre la soglia del 75% il proprio debito.
Fanno parte degli italiani che detengono il debito pubblico italiano anche banche e compagnie di assicurazione italiane che sui titoli di stato hanno costruito la loro solidità e la loro redditività. Sui titoli di stato italiani si fondano prodotti strutturati come le index linked, coperture di previdenza integrativa e montagne di fondi pensioni. Attenzione anche ad essere troppo esposti con depositi in istituti bancari italiani che a loro volto hanno una rilevante esposizione in titoli di stato italiani. Il momento di mercato presuppone una gestione del rischio più oculata di quello che si pensi, ipotizzando ormai anche scenari drammatici sul versante finanziario. Non vi sono più scuse per far finta di non vedere o di non sapere, i titoli del debito pubblico, a mio parere, vanno smobilizzati, capitalizzando magari i gain ottenuti proprio grazie ad acquisti effettuati durante il periodo turbolento del 2012. Il tutto può essere infatti configurato all’interno di un riassetto di portafoglio e di patrimonio a fronte del rischio Paese e del paradigma rischio/opportunità. Da questo punto di vista infatti il debito italiano potrà solo essere gestito in ottica quantitativa (quindi ipotesi di hair cut) in assenza di manifestazioni propulsive della crescita economica (ipotesi qualitativa) che mancano all’appello nonostante tre diversi tentativi di governo non convenzionale.
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