di Nereo Villa
Domanda: “Perchè continuiamo a fare leggi contrarie al nostro interesse?”. Risposta: “Perché continuiamo ad essere “bravi” come al tempo di don Abbondio…
Oggi è più che mai necessario riaffermare (repetita iuvant!) ed ampliare tutta la questione delle porcherie (altro che “questione sociale”) cui nel settembre 2011 accennavo come opera di “porconi”, la cui coazione a ripetere ed a perseverare nell’errore, ha proporzioni bibliche.
Lo Stato in cui viviamo, in quanto plenipotenziario, è fino a prova contraria, delinquenza organizzata che, mediante regole di monopolio, persegue un lucro tanto legale quanto illegittimo (cfr. sulla differenza fra legalità e legittimità “In piccolo lo specchio della nostra Italia”).
Questa organizzazione criminale prendeva il nome generale di “mafia”, termine che anticamente significava “Mazzini Autorizza Furti Incendi Attentati”, e che oggi indica il contrario della “cosa pubblica” (“res publica”, Repubblica), vale a dire “cosa nostra”. Questo tipo di Stato vige in tutto il mondo, anche se in Italia ha preso altre denominazioni, come “camorra” a Napoli, “‘ndràngheta” in Calabria, “bullismo” a Roma, “teppa” a Milano, ecc.
Definito come “onorevole”, l’uomo mafioso dell'”onorata società” è il politico che, insediandosi nell'”ordine”, giura obbedienza assoluta alla carta costituzionale, secondo anacronistica ritualità.
La riforma dei bravi è bene espressa in una scena del famoso film del 1963 “Il Gattopardo” di Luchino Visconti, che illustra l'”evolutivo” passaggio in Sicilia dalla dominazione dei borboni alla dominazione dei sabaudi affinché “tutto cambi affinché nulla cambi”. Le cose non sono cambiate. Le cose si ripetono e non solo dal tempo di quel passaggio, bensì già da quello dei bravi di Don Rodrigo, che si riciclano nella classe politica attuale.
“I promessi sposi” di Alessandro Manzoni è un romanzo che, descrivendo i costumi sociali della Lombardia dominata dagli Spagnoli, inizia la sua narrazione sotto la data del 7 novembre 1628, con un tipico atto di mafia: l’imposizione intimidatoria, fatta da due bravi (oggi li chiameremmo killer) ad un prete di campagna, don Abbondio, da parte di un capomafia locale, il boss don Rodrigo che quando intende compiere un atto mafioso più potente del solito, come il sequestro di Lucia dal convento di Monza, ricorre per aiuto ad un boss più potente di lui, all’Innominato, per portare a termine il suo piano criminoso (Cap. XX). In questo romanzo c’è anche la mafia “dei colletti bianchi”, rappresentata dall’avvocato, il celebre “dottor Azzeccagarbugli”, che rifiuta, nel cap.III, di assistere legalmente Renzo contro il boss don Rodrigo: e difatti, nel cap. V, lo troviamo alla tavola del boss locale, a rimpinzarsi di cibo, a lodarne i vini, e a suggerire furbesche soluzioni in materia cavalleresca. E non manca neppure l’intimidazione alle autorità costituite, con il caritatevole consiglio dato al console del paesello natio Renzo e di Lucia, dai due soliti bravi, di non far relazione al podestà di quanto era accaduto nella “notte degli imbrogli”, se aveva “cara la speranza di morire di malattia”, come esattamente scrive Manzoni (cap. VIII): che è tipico linguaggio intimidatorio, ancora oggi adoperato dalla mafia e dalle carte di Equitalia, dato che nulla è cambiato da allora se non la forma che si è fatta più occulta.
Le cose però permangono in sostanza tali e quali, perché non durano solo da secoli. Durano da millenni, dato che aspettano ancora l’intervento dell’io umano per cambiare veramente.
Insomma, la riforma gattopardiana in cui i bravi di oggi sono i politici del malaffare, è qualcosa che ha proporzioni bibliche, tanto che nell’ultimo libro dell’Apocalisse si parla della gran prostituta, come dell’istituzione delle istituzioni, oggi incarnata nella chiesa cattolica, mai voluta da Gesù, detto il Cristo. Sappiamo oramai tutti cos’è lo IOR…
Oggi si fa un gran parlare dell’euro e del ritorno alla lira o dell’istituzione di una nuova moneta. Ciò che però sfugge ai bravi porconi di oggi è la cosa più importante: se la principale caratteristica dell’euro consiste nel non essere convertibile in oro al portatore, ciò valeva anche per la lira, nonostante questa portasse stampigliata sulle banconote la scritta “pagabile a vista al portatore”, che avrebbe dovuto garantire all’individuo il diritto di tale conversione in oro. Questo per dire che oggi usiamo una moneta senza minimamente renderci conto del fatto che questa è uno strumento monetario non garantito dalla banca centrale che lo emette, ed il cui valore dipende solo da costrizione e sottomissione, cioè da un elemento forzoso e da una sottomissione ad esso.
L’elemento forzoso consiste nel monopolio di emissione, concesso alla banca emittente da un diritto di Stato, che non ha ragione di essere, a meno che lo si voglia intendere come diritto di uno Stato… di diritto. Neanche in tal caso però la cosa può stare in piedi: in uno Stato di diritto, ognuno dovrebbe avere il diritto, appunto, di convenire ad una convenzione monetaria, conveniente a tutti, per lo scambio di beni e servizi. Ciò significherebbe conseguentemente diritto universale di “free banking”, vale a dire di emettere liberamente moneta propria, in banchi di cambio e di scambio propri, senza essere penalizzati dalla tirannia del diritto di Stato, consistente, appunto, in tale monopolio di emissione.
Il diritto di Stato è dunque la negazione dello Stato di diritto e viceversa, così come “cosa nostra” è la negazione della cosa pubblica, o della Repubblica (dal latino “res publica”) e viceversa.
Oggi viviamo in un totalitarismo plenipotenziario chiamato “Stato di diritto” concepito come “cosa nostra”, cioè come “diritto di Stato” o diritto di pochi (armati o che si avvalgono di forze armate) sui molti (cioè sui restanti) inermi, dunque come mafia generatrice, mediante imposizione violenta, di sottomissione.
In questo contesto di mancanza di libertà, la carestia del suddito e l’abbondanza del tiranno vanno di pari passo: la crisi economica della gente sottomessa e costretta ad accettare il monopolio di emissione dei soldi, va di pari passo con la prosperità dei banchieri delle banche emittenti, che sfruttano tale monopolio con fine di lucro. Le banche emittenti prosperano a spese dei sottomessi, ai quali mettono, sì, a disposizione il servizio di stampa delle banconote, ma facendosi risarcire non solo delle spese tipografiche e del lavoro dei tipografi, come sarebbe giusto, ma anche del valore nominale stampigliato come cifra sulle banconote, valore al quale oltretutto aggiungono gli interessi su tali cifre!
È molto semplice osservare come questa dinamica risulti antilogica e perciò generatrice di inadempienza del risarcimento. Se per esempio io, detentore del monopolio, ti stampo un biglietto da 100 e te lo do’ per i tuoi scambi commerciali pretendendo come compenso, oltre alle spese di monetaggio per quel biglietto (carta, inchiostro, stampa, ecc.), anche il corrispettivo “100” in beni e servizi, più gli interessi, significa che io metto in atto un contratto di prestito impossibile da adempiere. Infatti come fai a restituirmi tali spese, i 100, e gli interessi, se hai solo quel biglietto da 100? Dovrai per forza di cose chiedermi di stamparti altri soldi. Così però si creerà solo un debito non solo progressivo ma esponenziale nei miei confronti.
Viene pertanto il tempo in cui i dominati dovranno creare, per non soccombere, strumenti monetari liberi dalla tirannia del monopolio. Solo una moneta libera da monopolio può sostituire la moneta vigente, qualunque essa sia, euro, lira, nuova lira, ecc. Orientarsi in tal senso per finanziare attività locali sgravando di conseguenza i nativi dalle imposte che vanno a finire nei “diritti di monopolio” (e/o nel “debito pubblico”) di una Repubblica delle banane (e/o di “cosa nostra”), è l’unica via percorribile per uscire dal caos sociale in cui siamo piombati. Come si ottiene ciò? Diffondendo cultura di libertà dal monopolio. Il free banking non si ottiene dai politici o con forze armate. Il free banking si ottiene con la forza del pensare.
Condividi su