Articoli Tecnici

L’orto famigliare
il lavoro della terra come terapia
P. PISTIS – Zelata di Bereguardo, 8-10 aprile 1994

Da “L’uomo sintesi armonica” di R. Steiner, desidero citare “Se vuoi conoscere il mondo, scruta profondamente in te stesso…”
In questa frase è contenuto un grande segreto, una grande formula, Se voglio conoscere me stesso, devo indagare fuori. Se voglio conoscere il mondo devo indagare dentro me stesso. Sembra quasi che non ci sia più un confine tra me e fuori, che ci sia una comunicazione tra ciò che sta fuori e la mia propria interiorità. Allora per iniziare potremmo chiederci: ha un senso poter curare e migliorare al massimo la terra, trascurando l’uomo o bisogna solo curare l’uomo, trascurando l’uomo? Oppure che senso ha l’uomo senza la terra, che significato ha la presenza dell’uomo sulla terra? Allora qui potremmo chiederci: qual è la terapia per la terra nel senso di armonia, di equilibrio e qual è la terapia per l’uomo, cioè quando vado a coltivare, quando vado a rapportarmi nel mio proprio lavoro, dov’è che agisco in maniera terapeutica verso la terra e viceversa, non è che per caso qualcosa risponde e crea terapia per l’uomo?Ecco allora proviamo adesso un attimo a parlare della terapia verso la terra, questo modo, se vogliamo, di curare la terra di curare il proprio orto. Abbiamo parlato dei preparati biodinamici come piccole dosi di sostanza che noi mettiamo per regolare qualcosa, per rendere ciò più equilibrato , per migliorare le forze che ci sono nel proprio orto. Immaginiamo anche addirittura, qualcuno di voi lo saprà, che ci sono certi veleni che basta una piccola dose, una piccola goccia sul corpo, e addirittura tutto l’organismo si ammala. Ecco: non potrebbe darsi che magari utilizzando delle piccole gocce invece molto curative sul corpo dell’uomo potrebbe guarire anche tutto l’organismo? E allora mi chiedo: non è possibile con i preparati biodinamici, che vengono dati in piccolissima dose sulla nostra terra, poter curare anche l’intero organismo della terra ? Quello che vorrei fare è di non portare solo delle affermazioni, ma di suscitare delle domande, delle perplessità per incoraggiare la ricerca su questi argomenti. Pensiamo alle lavorazioni che facciamo nel nostro orto, alla cura che ci prendiamo per seguire una pianta. Abbiamo visto fin da questi stadi qui che la pianta è estremamente fragile e delicata. Dovremmo fare quest’operazione oppure quell’altra? E poi verificare ancora quell’altra? ma forse non va bene seguire questo iter. Abbiamo una pianta in terapia, tutto il nostro orto è messo in terapia. Dobbiamo veramente essere dei terapeuti e cercare di far crescere qualcosa. Ma non c’è solo l’azione che noi diamo al nostro orto, alla nostra terra; c’è anche il mondo dei sentimenti, c’è anche un mondo del pensare. Per quanto riguarda il mondo del pensare, pensiamo alla complessità delle attenzioni che dobbiamo dare. Addirittura, ve lo porto come aneddoto, c’è un proverbio in Austria, ce lo ha riportato il dottor Clair, in cui si dice che dove cammina il contadino, concima la terra. Cioè quando gli agricoltori camminano per il proprio campo e osservano le coltivazioni, in quel caso li inizia un nuovo tipo di concimazione. Pare che l’attenzione, la devozione, l’ammirazione, la venerazione per il proprio lavoro possa e riesca a trasmettersi al mondo vegetale. E allora questo detto che dove il contadino passa fa crescere nuove e belle erbe, sarebbe bello sperimentarlo, vedere se è proprio così. Quindi c’è proprio una terapia rivolta dall’uomo verso la terra e il tentativo di creare questi nuovi organismi che abbiamo detto, di creare nuovi boschi, siepi, alberi; dobbiamo di nuovo svolgere questa azione cosciente verso la terra. Dobbiamo creare un nuovo senso artistico, un nuovo senso del paesaggio e ricostruire qualcosa. La terra è capace di esprimere proprio la manifestazione dell’uomo: in questo caso c’è un dare dell’agricoltore verso la terra. L’uomo si mette li, siamo alle prime armi, però c’è tanto entusiasmo e allora vogliamo coltivare qualcosa nell’orto non coltiviamo soltanto il nostro orto, stiamo già coltivando una parte della terra. Adesso proviamo a rovesciare la cosa e a chiederci: può questo lavoro della terra essere una terapia per l’uomo? Possiamo chiederci: questo lavoro della terra può essere un percorso di conoscenza, di conoscenze molto profonde, può sviluppare armonia? Può questo lavorare la terra, creare salute? Oppure può essere anche un percorso iniziatico cioè possiamo arrivare a delle conoscenze anche superiori a quelle che normalmente abbiamo? Sono delle domande, per adesso. E comunque la domanda principale è: può il lavoro della terra essere una terapia per l’uomo? Io ho sempre avuto questa immagine di alcune persone che lavorano all’interno della città, fanno dei lavori massacranti, sono proprio inseriti in un lavoro magari tutto il giorno davanti ad un computer o ad uno sportello postale, fanno dei lavori veramente intensi e alla fine di tutto questo lavoro cosa fanno? Vanno nel proprio orto a lavorarlo, dedicano il proprio tempo libero nell’orto e queste persone dicono: mi sento come rigenerato, ricaricato, ho veramente l’impressione di fare qualcosa in cui mi realizzo, anche se faccio fatica in realtà acquisto entusiasmo, mi ricarico. Allora mi chiedo: cosa succede quando un uomo va a coltivare, quando uno si avvicina al proprio orto? Incontra direttamente, secondo me, i quattro regni che abbiamo citato in questi giorni. Abbiamo un contatto con il regno minerale, con il regno vegetale e con il regno animale e poi se collaboriamo con altre persone abbiamo di fronte a noi il regno umano, ci confrontiamo con altre persone. Che cosa vogliono dire questi quattro regni? Andiamo in un bosco ed osserviamo. Ecco che non abbiamo solamente un’alimentazione terrestre, non abbiamo solo il cibo che ci sostiene, ci vuole anche quello certo, ma oltre a questo cibo terrestre ci vuole anche un’alimentazione che potremmo chiamare cosmica, data dalle belle cose che si osservano, dalle cose che ci riempiono quando facciamo qualcosa di sentito. Pensiamo a quelli che l’orto non lo vogliono coltivare, eppure si fanno una camminata in montagna, una passeggiata in un bosco, una passeggiata lungo il mare. Ecco, quella è un altro tipo di alimentazione, un’alimentazione che attraversa i sensi. Sono immagini che entrano negli occhi, sono sensazioni che vanno nella pelle; questo è un nuovo tipo di alimentazione, un’alimentazione cosmica. Ora nel proprio orto perché non tentare di fare delle cose che proprio possano esprimere il bello, questo senso artistico per così dire? Qual è l’azione terapeutica in questo caso? E’ che se ne riceve qualcosa, un’impressione sensoriale che va a nutrire, qualcosa che non è direttamente un cibo che noi ingeriamo, ma è qualcosa che va a nutrire la nostra costituzione generale. E adesso mi faccio un’altra domanda: possono le conoscenze biodinamiche, le conoscenze antroposofiche creare benessere? In quest’altro testo che si intitola ” Lo spirito nella formazione dell’organismo umano” lo Steiner in due parole dà un’indicazione incredibile, secondo me, e vorrei leggerla: “Esisteva comunque la conoscenza che l’organismo umano non è di questa terra, che su di essa può solo mantenersi se viene sempre sollecitato a superare la forza terrestre.” Non mangiamo, cioè per accogliere in noi questo o quell’alimento, ma per sviluppare interiormente le forze che dominano gli alimenti stessi. Mangiamo per opporre resistenza alle forze della terra e viviamo su di essa per il fatto che opponiamo resistenza. Allora, a questo punto, il nostro cibo, perché in fin dei conti prendiamo dei frutti dal nostro orto e li portiamo sulla nostra tavola, il nostro cibo si prepara ad un allenamento. Questa conoscenza cosa ci dice? Guarda che tu non mangi per prendere vitalità, ma mangi bensì per opporre resistenza alla vitalità dell’alimento, perché tu dentro di te hai una tua vitalità. Allora per questa vitalità, se la vogliamo allenare, se la vogliamo tenere in allenamento, dobbiamo contrastare con dei cibi sempre più vitali. Oggi i cibi stanno perdendo vitalità. Il nostro compito allora è di portare vitalità nell’orto. Facciamo un esempio: se vogliamo mantenerci in allenamento e fare i 100 metri in breve tempo, dobbiamo ogni giorno correre, dobbiamo fare un allenamento. Se noi vogliamo mantenere questa verticalità e mantenerci desti con la coscienza, dobbiamo ingerire cibo e dobbiamo all’interno opporre resistenza al cibo, dobbiamo per così dire, vincere la digestione. Antichi detti Indiani dicono che l’uomo si ammala mangiando e guarisce digerendo; quindi questo processo di digestione è superare la vitalità dell’alimento che metto dentro, e ciò mi permette una certa verticalità, una certa coscienza. La domanda era: possono le conoscenze creare benessere? Beh, se io dovessi seguire questa conoscenza che vi ho appena dato, non farei altro che portare della vitalità il più possibile al di fuori di me, nell’orto, nel mio ambito, nel giardino, nei fiori, dappertutto. E in questo caso non creo benessere solo per me, ma creo benessere anche per gli altri. Se creo benessere anche per gli altri è tutta un’espansione che va a partecipare al tutto. Ora dov’è la terapia verso l’uomo nel coltivare la terra e seguendo le conoscenze? Si impara piano ,piano a riconoscere i bisogni dell’altro, i bisogni degli altri uomini. Non sono così completamente slegato dagli altri uomini. Quando faccio un’azione nel mio orto, mi rifletto proprio come un’onda anche sugli altri uomini. Le conoscenze, in questo caso interessano tutti. Se ci riportiamo alla frase di Steiner: ciò che è dentro di noi, è un riflesso anche di cosa sta fuori; quello che sta fuori, è un riflesso di ciò che ho dentro. Un aspetto che vorrei sottolineare è l’aspetto artistico. Vi è proprio ai giorni nostri questa mancanza del gusto artistico. Andiamo nelle campagne e vediamo tutto quanto rettilineo, squadrato, angoli retti, tutti in funzione all’economia perché le macchine non devono fare troppi giri, non devono fare troppe cose. Le siepi devono essere tolte perché lì non va bene, lì bisogna produrre. C’è l’economia, non ci importa se ci sono dei bei fiori, se ci sono degli alberi. Il senso artistico in questo caso non c’entra perché va in contrasto con l’economia. Allora se esiste anche una terapia artistica, del colore, del dipingere, dello scolpire, come esistono tante altre terapie, perché non portare un po’ di arte nel proprio lavoro, quando ci si rapporta nel proprio orto? Perché non portare nel paesaggio qualcosa di nuovo che sia veramente piacevole, che possa rappresentare qualcosa? (prende l’orto biodinamico del Merckens) Ho trovato una volta in questo libro una frase che mi ha molto colpito “non esiste orto senza le rose.” Non esiste un orto dove in un angolo io non possa far crescere dei fiori, dove non si possa far crescere qualcosa che non sia direttamente produttivo, che si debba portare sulla tavola, ma qualcosa per esprimersi in un gusto proprio, in una fase artistica. Quindi in fin dei conti anche qui c’è questa relazione: un’espressione artistica fuori, un qualcosa che si riflette dentro. Mi faccio ora un’altra domanda: se l’uomo ha un pensare, se l’uomo ha un sentire, se l’uomo ha un volere e se è vero questo riflesso fra ciò che è dentro e ciò che è fuori, posso vedere scritto fuori e nel mio orto qual è la relazione del mio pensare, del mio sentire, del mio volere? Ora girando in diverse aziende, andando a visitare diversi orti si vede proprio come l’orto è la manifestazione di chi lavora. Si vede se una persona è troppo accentrata sul pensare concettuale, rigido, schematico, morto e lo vuole applicare direttamente alla volontà; così proprio se ne vede la manifestazione. Ortaggi messi in un certo modo, tutto è all’insegna della produzione. Lì c’è questo volere direttamente qualcosa dalla terra, un pensare che non attraversa il sentimento e vuole, scende giù. Ecco che allora dov’è qui l’azione terapeutica? E’ che quando ci si avvicina all’orto, l’orto ti fa come da specchio attraverso questo pensare, sentire, volere. Ecco che queste tre cose che vi ho nominato non sono più così confuse tra di loro, ma possiamo anche distinguerle. Qual è il pensiero che mi ha portato a fare questa cosa? E ci ho aggiunto qualcosa del mio sentimento? O queste cose le penso solamente e poi non le realizzo? Perché c’è anche la faccia opposta, c’è anche la mancanza di volontà, perché comincio anche a pensare: si, questo è bello questo lo vorrei fare, questo lo faccio e poi alla fine non lo faccio mai, mi rimane sempre qualcosa e allora si vede……… eh, per esempio, delle file, arrivano a un certo punto che dovrebbero continuare e addirittura…… smettono! Quindi, anche qui, qual è l’azione terapeutica rivolta verso l’uomo? Bisogna che impariamo a scandire bene questi aspetti dell’uomo. Non possiamo più fare azioni impulsive, quindi azioni senza pensiero e senza sentimento, perché le azioni impulsive poi si pagano, nell’orto poi non otteniamo prodotti; dall’altra parte poi non possiamo nemmeno cadere nei sentimentalismi nell’appoggiarci alla natura. Diciamo: beh, aspetterò che cresca qualcosa, prenderò i doni della natura. Ma nell’orto sarà la terra stessa a dare la risposta. E poi c’è una domanda ancora: ma allora nel proprio lavoro l’uomo è sottoposto a delle forze interiori? Cioè agiscono anche delle forze all’interno dell’uomo, mentre sta lavorando, che gli creano come dei contrasti, oppure quando lavoriamo, singolarmente o in gruppo, ci va tutto liscio? Cioè troviamo qualcosa che ci fa da ostacolo, c’è qualcosa che ci vuole dare insegnamenti, che impariamo qualcosa? Principalmente si possono sperimentare queste cose, non necessariamente nell’orto, però nell’orto si ha occasione maggiormente di vederlo perché abbiamo questo quaderno che è di fronte a noi. Abbiamo due forze principali, due forze che sono sempre in agguato: una è questa forza del sogno, tremendamente sognante, che ci vuol far pensare a molteplici fantasie, che porta addirittura al fanatismo; noi vorremmo fare questo, vorremmo pensare che potremmo essere quest’altro, ci fa desiderare delle cose che non abbiamo addirittura; nell’orto, si, vorrei fare questo, vorrei fare quest’altro e intanto non faccio niente. E’ sempre questa tendenza che ci vuole portare via, ci vuole distaccare un po’ dalla realtà, vogliamo sognare. E’ una tendenza, la chiamiamo “porta del sogno”. Ed è una porta bella, che ci ispira, vorremmo quasi solo guardarlo l’orto in fin dei conti e viverci in mezzo senza fare l’azione della volontà. E dall’altra parte cosa c’è? C’è una parte invece più pesante, più materiale, più forte; pensiamo: dal mio orto voglio produrre, voglio portare a casa qualcosa. Mi inserisco qui in un discorso di economia la forza anche del denaro; voglio il potere, voglio governare io questa terra, è una forza che mi porta sempre più alla pesantezza. In alcune aziende e anche nell’agricoltura chimica si vede benissimo. Lì c’è un’impostazione che l’agricoltura non è più curare la terra, ma diventa un’agricoltura da reddito. Il contadino non è più contadino, ma è un imprenditore agricolo e le cose cambiano notevolmente. Qui io dalla mia terra devo per forza tirar fuori qualcosa con un reddito. E’ assai pesante questa forza qui, ci vuol trascinare verso il basso Ecco che allora il nostro lavoro nel nostro orto come dovrà essere? Se riusciamo a riconoscere queste due forze, dovrà essere un bilanciamento, dovremo sempre tentare di bilanciare queste due forze; dovremo capire che si, dovremo desiderare di fare le cose in un certo modo, ma dovremo anche realizzarle e prenderemo un po’ da questo pensiero fantasioso che ci vuole tentare a fare le cose; prenderemo forza da questo e da quello perché in fin dei conti un risultato nella materia dovremo averlo dato che siamo inseriti in questo mondo materiale. Ecco sempre questa ricerca di un terzo elemento centrale di equilibrio e anche dei contrasti se si lavora con delle persone, perché una è più spostata sull’aspetto materiale: dice no, guarda, bisogna produrre. L’altra dice no, guarda, bisogna solo fare cose di carattere spirituale, dobbiamo fare slo del bene agli uomini. Allora la verità dove sta? La verità sta sempre nel mezzo: E allora in questo caso la terapia dove sta? Sta nel tentativo di riconoscere sempre queste forze che agiscono dentro di noi. Per avvicinarci a questo argomento, vorrei un attimo pensare a quelle persone che fanno dei lavori che escono completamente dai ritmi, a quelle persone per esempio che fanno i turni di lavoro, che non fanno a tempo ad abituarsi al turno diurno che subito devono fare la notte, poi il turno di pomeriggio. Quelle persone costrette da quegli orari particolari in cui devono mangiare sempre ad ore diverse. Mi viene in mente che è proprio una vita slegata da ogni ritmo, non si riconosce addirittura più qual’è il giorno e qual’è la notte. Abbiamo delle persone che durante il lavoro dormono e a volte durante la notte non riescono neanche a dormire. Sono come scossi e usciti fuori dal ritmo. E allora mi chiedo: questa esperienza del ritmo che sta dentro di noi è riconducibile ad un ritmo che è anche esterno perché in fin dei conti abbiamo visto che se vogliamo fare un certo ortaggio dobbiamo rispettare i suoi propri ritmi (quando si semina, quando fare determinate operazioni, come curarlo). Abbiamo visto che c’è una respirazione del giorno (e la pianta inspira), il pomeriggio tende ad espirare. Il ritmo delle stagioni: questo corpo eterico della terra funziona se ha un ritmo, va avanti se riesce ad inserirsi in un ritmo, se riesce a rinnovare qualche cosa attraverso questo ritmo. E questa persone che invece sono costrette a torturare quasi se stesse per il proprio lavoro che invece devono uscire da un ritmo, possono ritrovare un fenomeno che le aiuti quando lavorano. Quando siamo nel proprio orto possiamo trovare questa relazione fra il ritmo che sta fuori e il ritmo che sta dentro di noi? Per imparare a riconoscere i ritmi che stanno fuori dobbiamo fare un certo allenamento. Molte persone chiedevano: quando devo piantare questa cosa, quando devo irrigare, quando devo eseguire una determinata operazione. Guarda certo ci sono dei principi, ma comunque devi un po’ avvicinarti, avere una certa sensibilità a sapere quando devi innaffiare, quanta acua devi dare e comunque questo è un allenamento; ma questo allenamento lo posso rovesciare dentro di me? Qual è il mio ritmo? Quand’è che posso fare certe cose, quand’è che devo dormire (non dico che sia il caso nostro, ma nei casi più estremi), quante ore di sonno mi occorrono, quanto devo mangiare, come mangiare? Ecco che questo aspetto del ritmo, questo allenamento a riconoscere il ritmo si può riflettere nella propria inferiorità. Dunque ci vuole questo ritmo per mantenersi in salute? Lo Steiner ci aiuta un po’ a comprendere questo aspetto del ritmo, dov’è la salute del ritmo del nostro corpo: abbiamo un apparato neuro sensoriale che possiamo soprattutto individuare nella zona dei sensi, della testa, in cui siamo svegli, desti se vogliamo anche freddi poiché dobbiamo sviluppare coscienza. Questa è la vita del nervo. Dall’altra parte abbiamo un ‘altra forza, polare, che è la forza del metabolismo, la forza che abbiamo negli arti, la forza che abbiamo nel ventre, attraverso gli organi interni. Qui abbiamo il calore, la forza del sangue. Una è la forza del nervo, l’altra è la forza del sangue. Quando questa forza del sangue, questo calore che sta nel nostro ventre sale su verso l’alto e va nella testa ecco che si manifesta la febbre. Allora abbiamo portato un equilibrio, una parte di calore in una zona dove non andava. Quando invece questo freddo della testa (c’è anche un detto: testa fredda, piedi caldi) comincia a scendere dentro di noi e si porta negli organi interni, ecco che qui abbiamo il fenomeno della sclerosi. Non voglio addentrarmi in ambiti medici, comunque i medici dicono che questo è il presupposto perché poi si verifichi il cancro, cioè una concentrazione di raffreddamento in determinati organi. E che cosa c’è al centro in mezzo a tutto questo? L’apparato ritmo: qua siamo viventi, qua sentiamo il battito del cuore (sistole e diastole), sentiamo i polmoni; quando vogliamo ” prendere un attimo respiro” questa espressione è per dire : mi devo rifare al mio ritmo. Anche qui alcune conoscenze ci danno qualcosa. Ecco che anche fuori possiamo vedere i ritmi e possiamo capire come sono importanti i ritmi anche dentro di noi. C’è poi ancora una cosa, ancora più sottile, se vogliamo, ed è questo aspetto: dobbiamo lavorare con forze invisibili; noi vediamo queste piante che crescono, possiamo darci tutte le spiegazioni che vogliamo (pressione osmotica, traspirazione, pressione delle radici) alla fine facciamo degli esperimenti e poi ci accorgiamo che abbiamo a che fare con forze invisibili, non riusciamo a vederle. E poi poniamo un seme n ella terra. Nascerà o non nascerà e quale forza interiore devo avere per andare a mettere un seme! Quale coraggio dovrò avere per affrontare questo lavoro! Mi chiedo: se un agricoltore affronta questo lavoro può in qualche modo sviluppare i propri organi interni, può avere la capacità di sostenere questo suo corpo astrale e corpo eterico e corpo fisico che abbiamo detto prima? In fin dei conti non è sottoposto a delle prove? Voglio leggervi per introdurre ciò che sto per dire, queste poche parole di Steiner:” del resto ci furono uomini i quali, senza nessuna conoscenza scientifica, erano più assennati di coloro che rappresentano oggi la concezione scientifica del mondo. Quelli non affermavano, come comunemente si pensa, di credere a quello che non sapevano, ma credevano proprio solo a quello che sapevano. (sta parlando delle forze di fede); dobbiamo sapere per poterci elevare alle forze di fede e dell’anima umana. Dobbiamo avere nella nostra anima capacità di mirare a un mondo soprasensibile e dirigere su di esso tutti i nostri pensieri e tutte le nostre rappresentazioni. Se non possediamo queste forze appunto espresse dalla parola fede, qualcosa si devasta in noi.” Quale fede l’uomo deve poter sviluppare affinchè possa andare avanti nel proprio lavoro giornaliero, non solo, ma nel proprio orto, perché in questo caso ci stiamo avvicinando all’orto. Anche qui, per mettere un seme in terra, ci vuole un Principio, una Forza, e questa forza la chiama poi così: ” le forze della fede sono le più importanti del corpo astrale, equivale al Corpo di Fede”. Sto facendo delle lavorazioni, ma per chi sto lavorando? Abbiamo visto questo aspetto delle motivazioni. In quali ideali io lavoro? Quali ideali morali io sto portando alla volontà? Riesco a sviluppare qualcosa? Riesco a manifestare qualcosa? E più avanti Steiner dice: ” il rattrappirsi delle forze d’amore equivale a quello del mondo eterico perché il corpo eterico è anche corpo d’amore”. Adesso mi scuso con quelli che sentono parlare d’amore, ma personalmente non sono in grado di parlare di questo argomento, anche perché questa parola è stata completamente maltrattata negli ultimi anni, anzi forse negli ultimi secoli. Se ne è sciupato il valore. Ci resta comunque l’idea che potrebbe corrispondere al corpo eterico, come qui dice Steiner. E più avanti: ” se proseguiamo giungiamo a una classe di Forze di cui abbiamo bisogno nella vita. Se ci mancano del tutto, lo avvertiamo esteriormente nella nostra umanità in maniera molto significativa. Le forze quanto mai vitalizzanti di cui abbiamo bisogno sono le forze della speranza, della sicurezza del futuro. Finchè apparteniamo al mondo fisico non possiamo fare un solo passo senza speranza. Dice poi anche questo: ” Chi mai costruirebbe una casa se non fosse sicuro che nella notte successiva essa non verrà distrutta? O chi seminerebbe piante se non avesse alcun sospetto di quel che ne avverrà nell’anno prossimo? E’ proprio per la vita fisica che ci occorre la speranza: essa sostiene e conserva la vita fisica stessa. Nulla può succedere sul piano fisico senza la speranza. Ecco perché le forze della speranza sono collegate con l’ultimo involucro dell’essere umano, con il nostro corpo fisico”. E’ un mondo da scoprire anche questo. E’ un’ipotesi di lavoro alla quale dovremmo cercare di avvicinarci per poter lavorare. Ci rimane comunque questa immagine del corpo astrale, del corpo eterico e del corpo fisico. Ci sono oggi, cambiando argomento, delle comunità , per esempio di tossicopdipendenti, comunità curative, comunità per persone che hanno problemi psicologici e altro. Queste comunità inconsciamente o consciamente, non lo so, hanno quasi tutte un pezzo di terra dove coltivano, dove fanno lavorare le persone, dove veramente l’uomo si sente inserito nella natura. Non solo, ma si vuole addirittura costruire un laboratorio agricolo-sociale. Se andiamo in una certa azienda, nell’orto del vicino, o a visitare una tenuta agricola, si riesce addirittura a cogliere se c’è una vita sociale dietro oppure no. Vediamo se c’è una molteplicità di aspetti, di manifestazioni, una complessità di idee e di creatività che sono evidentemente superiori a quelle dove lavora il singolo. Il singolo riesce come ad incarnare certi aspetti, di più non riesce a fare e invece quando si confronta con altre persone, sì, può succedere lo scontro, anzi c’è molto spesso, ma lo scontro che può portare a un’espressione, a un miglioramento del proprio lavoro. Chi si è accorto oggi durante la pratica che mi dovevo mettere la pompa sulla spalla: ecco che c’erano le cinghie che si avvolgevano, da solo non riuscivo, ero come impacciato, eppure c’è stato un altro che mi ha aiutato e in un istante abbiamo messo la pompa sulla spalla e così quando si fanno i lavori in campagna, il lavoro di una persona messo assieme al lavoro di un’altra persona, quindi due persone lavorano per tre, cinque persone lavorano per sette. E’ come se addirittura la collaborazione di queste persone è qualcosa di superiore. Qui è la vera terapia, nel confronto con l’altro. Ci sono tante terapie. Abbiamo visto la terapia della terra, terapia artistica, terapia in tanti ambiti, ma la vera terapia nasce quando abbiamo di fronte a noi un altro microcosmo e questo è l’altro uomo di fronte a noi. Addirittura possiamo pensare a questo: quasi tutti avranno avuto nella loro vita un amico, quell’amico intimo capace proprio di poter comunicare, di poter far sorgere qualcosa. Ecco che addirittura anche se l’amico sta zitto e noi parliamo, riusciamo lo stesso a cogliere qualcosa di superiore, come se il suo solo ascoltare mi portasse un’entità superiore tra noi. Nell’orto, come collaboriamo, e che cosa ci accomuna? Ci accomuna il lavoro, ci accomuna il fatto degli obbiettivi e degli ideali e calpestando la stessa terra abbiamo anche tra di noi che ci unisce la stessa terra che è un organismo vivente. Ora voglio riportare le domande iniziali: può il lavoro della terra essere un percorso iniziatico, può essere un percorso che ci può portare delle conoscenze per questo nostro lavoro? Perché in fin dei conti, noi adesso usciremo di qui e riusciremo ad applicare qualcosa, riusciremo ad essere stimolati a qualcosa? Nel nostro lavoro potremo sviluppare salute, armonia? Può essere il lavoro della terra una terapia? Voglio concludere rileggendo questa frase che abbiamo letto all’inizio: Se vuoi conoscere te stesso, guarda nel mondo da ogni lato. Se vuoi conoscere il mondo scruta profondamente in te stesso.
Zelata di Bereguardo, 8-10 aprile 1994

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