Matteo, 29 anni, nato e cresciuto a Verona. Lo scorso anno decide di cambiare vita, lasciare il lavoro di tecnico informatico, sicuro e ben pagato, che svolgeva da quasi dieci anni, e partire per il Sud America, zaino in spalla, alla scoperta di se stesso e di un’altra vita. A distanza di sette mesi ci racconta come (e dove) sta andando.
di Elena Tioli
Matteo un lavoro sicuro, tanti amici e una vita felice, perché hai deciso di mollare tutto? Cosa ti mancava?
Sembrerà assurdo, ma non mi mancava proprio niente. Avevo un buon stipendio, amici e famiglia che mi vogliono bene e una carriera lavorativa che andava a gonfie vele. L’avere, più che il non avere, mi ha fatto mettere tutto in discussione.
Ci puoi spiegare meglio?
Ho cominciato a farmi delle domande, domande sempre più affamate di risposte, una tra le tante: è solo materialismo o c’è dell’altro? Ho iniziato a chiedermi quale fosse l’utilità di tante cose che possedevo. Ho iniziato a pensare che molte di queste cose ci stanno trasformando in robot, in automi.
Cosa è successo da lì in poi?
Ho deciso di lasciare il lavoro e ho dato il preavviso al mio capo. Da lì in poi ho iniziato a metabolizzare davvero quello che stavo facendo e che avrei voluto fare. L’idea del viaggio si concretizzava sempre più: non volevo fare un viaggio normale, volevo mettermi alla prova e, soprattutto, volevo mettermi a disposizione degli altri, in particolare delle persone meno fortunate di me.
Cosa hai provato il giorno in cui ti sei licenziato?
Non so come si senta un leone, dopo aver vissuto in gabbia per molto tempo, a essere liberato. Ma credo di aver provato un’emozione simile. Con questo non voglio dire che non stavo bene al lavoro, anzi. Non smetterò mai di ringraziarli per come mi hanno trattato. Però ho sempre avuto problemi ad essere comandato e inquadrato, mi sentivo come una bomba ad orologeria, pronta a esplodere. Mi ricordo ancora le forti emozioni del giorno che ho annunciato le dimissioni in ditta, quando sono uscito dalla porta dell’ufficio mi è salita un’energia fortissima, in radio davano Jumping Jack Flash dei Rolling Stones e l’ho cantata a squarciagola. Era il primo passo verso la libertà.
Com’è stata presa questa decisione dalla tua famiglia e dai tuoi amici?
Tra i miei amici si sono formati due gruppi: uno che mi ha caricato e fatto i complimenti fino al giorno della partenza e l’altro che mi ha chiesto varie volte se ero sicuro e cosa farò dopo, alimentando le paure pre-viaggio. Ancora oggi ci sono persone che non hanno capito la mia decisione e non credo la capiranno mai. Ma del resto non si può piacere a tutti. La mia famiglia invece mi ha colpito molto. Papà Luciano, da sempre molto ponderato e con i piedi per terra, è stato il primo a darmi la carica e a dirmi “vai”. Mia mamma Carla ha continuato a chiedermi se fossi sicuro fino alla partenza. Ma credo che qualsiasi mamma lo avrebbe fatto. Mio fratello Emanuele invece era entusiasta: mi ha detto subito che mi sarebbe venuto a trovare e avremmo fatto surf o snowboard insieme.
Perché proprio il Sud America?
Volevo partire da solo, zaino in spalla e viaggiare con meno mezzi a motore possibili, facendo esperienze di volontariato, dedicando il mio tempo agli altri, magari in cambio di vitto e alloggio, immergendomi nella natura e in me stesso. Le due mete possibli erano l’Asia e il Sud America. Ho scelto la seconda perché l’associazione di volontariato con cui collaboro opera in Perù, Ecuador, Bolivia e Brasile.
Da quanto sei in viaggio e come sta andando?
Sono partito il 5 novembre scorso e ringrazio Dio e l’universo per avermi dato la forza di prendere questa decisione. Sto vivendo un sogno, a tratti non me ne rendo conto e mi schiaffeggio la faccia per vedere se è vero. Non posso far altro che dire grazie, più volte al giorno: grazie.
Il primo Paese che ho visitato è stato il Perù dove ho fatto un’esperienza di volontariato nella Sierra. Ho vissuto in comunità locali, mangiando i prodotti che offre la terra e scoprendo i suoni e i colori della natura più incontaminata. Dopo il Perù sono stato in Ecuador dove, grazie a un sito internet che si chiama Couchsurfing (dove crei un profilo e chiedi ospitalità), ho potuto girare praticamente tutto il Paese spendendo pochissimo. Poi sono andato in Colombia e ho lavorato in cambio di vitto e alloggio in una fattoria organica che produce caffè. Ora sono in Brasile, per arrivarci ho attraversato in barca il Rio delle Amazzoni in piena. E’ stata un’esperienza molto forte.
Dove andrai domani?
Sto per partire per la Bolivia. Viaggerò su un treno molto vecchio che qui chiamano “trem da morte”, spero che il nome sia di fantasia… In Bolivia vorrei perdermi in qualche paesino. In questo cammino ho constatato che la vera cultura non è nelle grandi città ma nei piccoli villaggi.
Qual è stata l’esperienza più bella che hai fatto finora?
Tra le esperienze più bella c’è sicuramente quella vissuta in Perù. Lì ho abitato in un caserio, un piccolo villaggio sperduto nella sierra peruviana in alta quota, dove io e altri due operai della parrocchia abbiamo costruito una casa per una famiglia del villaggio. Il mio letto era fatto di paglia, avevo una coperta (presumo) piena di pidocchi e dormivo insieme a una ventina di animaletti simili a conigli. Le persone che ci ospitavano, pur non avendo niente, sorridevano sempre. E io non facevo altro che domandarmi: perché?
Con quanti soldi vivi? Quanto ti sta costando il viaggio?
Non so di preciso con quanti soldi vivo al giorno ma quando sono partito mi sono prefissato un budget di 1500 euro per 5 mesi. Ci sono riuscito ma penso di poter fare ancora di meglio.
Quando pensi di tornare? Cosa farai dopo?
Ho messo in preventivo un anno, vedremo… Per ora sto scrivendo un diario che spero al mio ritorno di trasformare in un libro: una guida per chi vuole intraprendere un percorso del genere, tra il viaggio low cost e la meditazione sulla vita. Vorrei pubblicarlo per donare il ricavato ad alcune famiglie che ho conosciuto. Famiglie che pur non avendo niente hanno un cuore grande e mi sono ripromesso di aiutare.
A volte la parte più difficile di un viaggio è partire, decidere di mollare tutto. Cosa consiglieresti a chi vuole farlo ma non ha il coraggio?
Dico solo che la vita, che io sappia, è una e che i nostri limiti e le nostre paure sono tutte nella nostra testa. Sta a noi conoscerle, superarle o conviverci. Quindi molliamo gli ormeggi e partiamo, sempre pensando a casa, che è il nostro porto. Una volta partiti sarà come camminare in un sogno, una vera e propria scuola di vita, che ci cambierà in meglio.
Sei felice?
Molto felice. A volte non credo a quello che vedo, chiudo gli occhi e li riapro per essere sicuro.
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