Il Regno Vegetale comprende piante che, incapaci di sintetizzare dagli elementi minerali e nutritivi materiale sufficiente per la loro crescita, svolgono azione parassitaria nei confronti di altri organismi vegetali. Le piante parassitarie sopperiscono alla loro deficienza fisiologica utilizzando le sostanze elaborate dalle piante ospiti. Le piante parassitarie di interesse agrario appartengono ad alcune specie di due famiglie: le Orobanchaceae (orobanche) e le Convolvulaceae (cuscuta): le prime parassitizzano l’apparato radicale delle piante ospiti, le seconde aggrediscono il fusto dell’ospite. L’azione parassitaria si esplica quindi attraverso lo stretto contatto del parassita con l’ospite e la nutrizione diretta del primo a spese del secondo. La pianta infestante, qualunque essa sia, si comporta in maniera differente in quanto essa esplica un’azione di competizione per spazio, luce, acqua ed elementi nutritivi con le piante adiacenti con le quali però non instaura alcun rapporto di tipo diretto.
L’azione delle piante parassitarie ha per conseguenza il progressivo indebolimento delle piante parassitizzate, in caso di colture agrarie si manifesta un danno sia in termini di diminuzione di resa, sia di danno qualitativo del prodotto.
Il genere Orobanche comprende un centinaio di specie erbacee quasi cosmopolite, prive di clorofilla, parassite radicali di molte piante. Tra le specie presenti in Italia le più diffuse sono: Orobanche ramosa (che attacca solanacee), Orobanche crenata, Orobanche cernua, Orobanche. minor e O. rubens (che prediligono le leguminose),e ancora Orobanche gracilis. Ricordiamo anche l’esistenza delle False orobanche. Si tratta di una patologia diffusa sul tabacco e segnalata anche in Italia. E’ caratterizzata dalla presenza sulle radici di masse tumorali di varia grandezza da cui emergono piccoli germogli di forma irregolare. L’agente causale non è stato accertato definitivamente: trattamenti di tipo ormonale, squilibri ormonali con alterazione del rapporto citochinina/auxina, batteri del genere Agrobacterium sono stati più volte chiamati in causa. Le masse tumorali si formano sulle radici principali e secondarie e circondano le radici totalmente o in parte. Su queste masse si formano in seguito strutture simili a piccoli germogli con foglioline clorotiche di forma irregolare e non fuoriuscenti dal terreno. Altri germogli che si formano alla base del fusto fuoriescono invece dal terreno e sono capaci di produrre piantine normali. I danni generalmente consistono in sviluppo ridotto delle piante attaccate con perdite produttive.
Il termine Orobanche deriva dal greco orobos (legume) e ànchein (soffocare). Le orobanche si insediano sulle radici di altre piante e attraverso l’azione parassitaria riescono a vivere e proliferare alle spese dell’ospite. Producono grandissime quantità di semi che grazie al vento vengono dispersi nell’ambiente superando anche grandi distanze. Possono inoltre essere trasportati attraverso le acque di scorrimento, attraverso le deiezioni egli animali o dall’uomo stesso. I semi possono rimanere in quiescenza molto a lungo, mantenendosi vitali anche per vent’anni.
Non sempre le orobanche costituiscono un problema. In passato, in varie regioni d’Italia è stata addirittura una risorsa alimentare. Ad esempio in Puglia dove, con il nome di sporchia, veniva consumato ad esempio friggendo il turione in olio o impiegato anche come rimedio depurativo del sangue. Oggigiorno, con l’impiego massiccio di antiparassitari e diserbanti e con l’abuso di lavorazioni invasive e profonde del suolo, le orobanche costituiscono un problema sporadico.
Le arature profonde costituiscono infatti un efficace metodo di contenimento, soprattutto quando i turioni presenti abbiano già disseminato. L’eliminazione diretta dei turioni è un metodo sicuramente valido, anche se poco applicabile su grandi appezzamenti. Esistono anche “piante trappola” come l’aglio ad esempio, che stimola la germinazione delle orobanche ma non ne viene infestato, in tal modo si abbatte notevolmente l’infestazione. Pratiche di pulizia del suolo attraverso la solarizzazione che, ricordiamo, non provoca la sterilizzazione del suolo né il temuto effetto di vuoto biologico, o l’attuazione di sovesci con piante biocide, costituiscono pratiche valide nel ripristino di un equilibrio biologico a livello dell’ecosistema agrario. L’eccessivo proliferare di una specie parassita rappresenta la reazione naturale a un fattore di squilibrio. Tenendo sempre a mente che l’esercitare la pratica agricola sul territorio è già in sé un’azione di squilibrio a carico dell’ambiente, possiamo scegliere di prenderci la responsabilità delle colture che attuiamo, difendendole dalle aggressioni esterne. Attuare strategie di contenimento e non azioni distruttive, rappresenta un approccio preservativo e conservativo nei confronti dell’ambiente, e non distruttivo. Un modo di coltivare che rende l’agricoltore un vero Custode della Terra.
Cristina Marello