LE CATENE DEL CORPO E DELLO SPIRITO NELLA “METAFISIOLOGIA” DI GIUSEPPE CALLIGARIS

Giuseppe Calligaris: chi era costui? Domanda legittima, visto che il nome del geniale medico friulano è caduto presto nel dimenticatoio, nella sua patria ingrata; mentre è ben conosciuto a un buon numero di scienziati russi, tedeschi, austriaci, i quali studiano da decenni le sue arditissime intuizioni e sperimentano, con la massima attenzione e serietà, le sue tecniche diagnostiche. Solamente negli ultimissimi tempi, in Italia, vi è qualche timido indizio di una ripresa dell’interesse nei suoi confronti e nei confronti della sua opera pionieristica. Dopo un interminabile periodo di oblio, durante il quale pochi seguaci ne facevano circolare delle  copie sotto forma di fotoriproduzioni, i suoi testi sono stati ristampati. Esiste un’associazione culturale, denominata Vega, che si prefigge lo scopo di far conoscere e tramandare la concezione della medicina del Maestro. Due autori italiani, G. Tarozzi e Maria Pia Fiorentino, fin dal 1975 avevano pubblicato un libro, «Calligaris, precursore di una nuova era» (Edizioni M. E. B. di Padova) che, se non altro, ha avuto il merito di riaprire un discorso che sembrava destinato a rimanere interrotto. Perfino i suoi compatrioti friulani, che da sempre si lamentano – e un po’ a ragione – della scarsa attenzione della cultura italiana nei loro confronti, sembrano averlo dimenticato in fretta. Giuseppe Marchetti, autore della fondamentale monografia «Il Friuli. Uomini e tempi» (Editore Del Bianco,Udine, 1979, vol. 2, p. 949) gli dedica appena poche righe striminzite e non molto cordiali, anzi quasi derisorie: 

Calligaris (Giuseppe), medico, neurologo da Forni di Sotto (1876-1944). Scrisse una serie di studi fantasiosi sotto il titolo generale: Le catene lineari del corpo e dello spirito, Udine, 1828-1940; La delinquenza, malattia mentale , Brescia, 1942.

Studi fantasiosi? Tali li ha giudicati una concezione angustamente accademica della medicina; ma di altro parere sono stati numerosi scienziati europei e americani che hanno fatto incetta dei suoi libri (quando essi erano pressoché introvabili) per studiarne il contenuto nei laboratori universitari e privati dei rispettivi paesi, con risultati quanto mai incoraggianti. Giuseppe Calligaris nasce in Carnia, a Forni di Sotto (provincia di Udine), il 29 ottobre del 1876, figlio del medico condotto del paese. Frequenta i corsi di Medicina all’Università di Bologna e vi si laurea, nel 1901, con una tesi particolarmente originale, dal titolo assai significativo: Il pensiero che guarisce.

L’anno dopo si trasferisce a Roma e diventa assistente di una celebrità, il professor Mingazzini, direttore dell’Istituto di Neuropatologia della Facoltà di Medicina; e, solo pochi anni più tardi, ottiene una propria cattedra come docente. Fin dall’inizio della sua brillante carriera, Calligaris era stato colpito da alcune anomalie della sensitività manifestate da soggetti ammalati di disturbi e lesioni del sistema nervoso, e aveva cominciato a delineare la sua personale teoria sulla loro cura. Nel 1908 decide di pubblicare i primi risultati delle sue osservazioni, ma una commissione nominata dal presidente dell’Accademia di Medicina di Roma, prof. Baccelli, conclude che i dati risultano ancora insufficienti, e gli consiglia di proseguire nelle proprie ricerche. Nel 1909, appena trentaduenne, ottiene la soddisfazione di venire nominato segretario del primo Congresso dei Neurologi italiani, ottiene la libera docenza a Roma e pubblica la sua prima opera scientifica: «Le mieliti sperimentali».

Ma un «vero» friulano (ed, a maggior ragione, un «vero» carnico) non si dimentica mai della sua terra; e Calligaris, pur continuando a tenere i suoi corsi alla Facoltà di Medicina di Roma per circa trent’anni, fino al 1939, torna a Udine e vi fonda, con l’aiuto del padre, una clinica privata per la cura delle malattie nervose. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruola come medico volontario, senza furori nazionalistici ma per senso del dovere. Assegnato come capitano presso un reparto della Terza Armata, ha modo di vivere in prima linea l’esperienza delle terribili battaglie dell’Isonzo e, poi, del Piave, e di formarsi un’opinione assai critica dei comandi dell’esercito, nonché della vuota retorica bellicista. Al termine della guerra scriverà, su quell’esperienza, il suo unico libro di argomento non scientifico: Un medico e la guerra, in cui non terrà nascoste le sue opinioni antimilitariste, cominciando ad attirare su di sé quei sospetti e quelle diffidenze che, uniti ad altre diffidenze e gelosie sul piano professionale, giocheranno probabilmente una parte non secondaria nella sua progressiva emarginazione culturale. Intanto, l’invasione austro-tedesca del Friuli dopo Caporetto, nell’autunno del 1917, avrebbe provocato la perdita della clinica e la distruzione dei preziosi materiali in essa contenuti. Infatti, il Comando austriaco di Udine aveva requisito la struttura per poi lasciarla, alla vigilia della ritirata dell’ottobre 1918, completamente devastata. E questo, oltre alla perdita di cinque anni di studio, costituisce un colpo non indifferente per le ricerche del Nostro  medico. Nel 1927 pubblica un testo fondamentale, che resterà a lungo un «classico» per gli studenti italiani di Medicina: «Il sistema motorio extrapiramidale».

L’anno dopo, alla morte del professor Minguzzi, potrebbe aspirare a subentrargli nella cattedra di Neuropatologia; ma vi rinuncia, per potersi dedicare alle sue personali ricerche, che procedono parallelamente a quelle di neuropatologia. E, mano a mano che i suoi studi avanzano, inizia a pubblicare le sue opere: ben 19 volumi nel corso di 12 anni, senza contare quelle rimaste inedite, le quali – si dice – sono piuttosto numerose. Tutto preso dall’entusiasmo delle sue ricerche, Calligaris volta le spalle a una prestigiosa carriera accademica ed imbocca sempre più decisamente una strada che lo porta a crescenti incomprensioni da parte dell’ambiente scientifico italiano, che finisce per considerarlo pazzo, o quasi. Costretto a  vendere la clinica, si ritira a vita privata, dedicandosi interamente alla stesura dei suoi libri. Morì, dimenticato da tutti, nel 1944, con i Tedeschi di nuovo installati nel suo Friuli, come ai tempi di quell’altra guerra, in cui la sua clinica era stata semidistrutta.

Ma in che cosa consistono esattamente le scoperte effettuate dal Calligaris, e perché hanno prodotto tanto scandalo e rumore nella comunità scientifica? Già nel corso degli anni Venti, Calligaris aveva intuito la relazione esistente fra la cute di un individuo e la sua situazione fisico-psichica complessiva; in particolare, aveva ipotizzato l’esistenza di «linee» e «placche» cutanee le quali descrivono un sorta di mappa dello stato generale spirituale di ciascun soggetto; non solo, ma che in tale mappa sono rappresentate pure le realtà psico-fisiche di tutti gli altri individui: nucleo della sua futura dottrina medica. Non si trattava di cervellotiche supposizioni, ma delle conclusioni cui stava giungendo dopo una lunga serie di esperimenti nel corso dei quali, stimolando la linea assiale di un arto o di un dito (od anche della linea interdigitale), si provoca in ogni soggetto sempre lo stesso riflesso sul piano fisico e lo stesso sentimento sul piano spirituale. Inoltre, la stimolazione – la «carica», come lui diceva – di una determinata linea provoca un riflesso su un determinato organo; sicché esiste una relazione diretta fra la struttura interna del corpo umano ed il tessuto cutaneo che lo riveste. (Ci stiamo servendo, in parte, dell’articolo Giuseppe Calligaris e le catene lineari del corpo,  lo trovate sul sito dell’Associazione Culturale «Acquarius»). Nel gennaio del 1928, egli annuncia pubblicamente le sue scoperte davanti all’Accademia delle Scienze di Udine.

Ma non è tutto. Nel 1931, nel corso di uno dei suoi esperimenti, il soggetto avverte Calligaris che la stimolazione di una delle linee cutanee gli sta provocando una sensazione insolita, come se la sua coscienza si fosse ampliata ed egli potesse accedere a un livello più profondo di consapevolezza. Mediante le linee e le placche cutanee, dunque, si può penetrare nel segreto dell’inconscio, in maniera più semplice e diretta che non attraverso l’ipnosi o la terapia psicanalitica? Si tratta di un’ipotesi estremamente affascinante, ancorché tutt’altro che ortodossa; e Calligaris, con giovanile entusiasmo e con coraggiosa spregiudicatezza, si butta a capofitto nella nuova traccia, che sembra essersi aperta nel corso dei suoi esperimenti. E non è finita. Lo studio delle placche, che – secondo Calligaris – sono distribuite a milioni sulla superficie cutanea – ha ancora delle sorprese in serbo per il ricercatore. Stimolando alcune di queste, specificamente individuate in zone ben precise del corpo, si formano sulla pelle delle macchie, apparentemente dovute all’afflusso o al deflusso del sangue nel sistema circolatorio, le quali riproducono le fattezze di oggetti ben precisi. Possono essere le immagini, molto ingrandite, di specifici agenti patogeni, ad esempio microbi, con enormi implicazioni di tipo diagnostico; oppure oggetti, persone e persino paesaggi. Calligaris si convince che deve trattarsi di un fenomeno analogo, per certi versi, a quello della formazione dell’ectoplasma nel corso delle cosiddette sedute spiritiche. Per anni, con pazienza ammirevole, egli studia e localizza una serie di placche cutanee, a ciascuna delle quali corrisponde una determinata facoltà supernormale. Ritiene, così, di essere giunto a stabilire l’esatta collocazione della placca che perturba ciascuno dei cinque sensi; di quella che produce il caldo e il freddo; di quella che fa vedere l’ultima persona vista dal soggetto; di quella che fa udire le ultime parole da lui sentite; di quella che rivela la posizione di un individuo lontano; di quella che proietta l’immagine di un oggetto nascosto al percipiente; di quella che consente la visione del futuro… Calligaris parte dall’assunto che il pensiero umano altro non è che una forma di radiazione. Di conseguenza, un poeta, ad esempio, nello scrivere i suoi versi, non può non aver pensato alla persona che glieli ha ispirati; e questa radiazione del pensiero dovrà trovarsi per sempre imprigionata, per così dire, in quei versi. Ed ecco il medico friulano tentare un suggestivo esperimento: fa posare il polpastrello di un dito ad alcuni suoi pazienti su alcuni versi di Catullo dedicati a Lesbia. Ebbene, quei pazienti riferiscono, profondamente emozionati, di «vedere» strane cose, ad occhi chiusi e bendati: una giovane donna castana, avvolta in una tunica; e poi prati, alberi, pietre, un corso d’acqua… 

Diamo qui un elenco delle principali pubblicazioni del Calligaris, da cui risulta la vastità e la straordinaria apertura intellettuale di questo infaticabile studioso, nonché la mole enorme di lavoro che si sobbarcò quasi ininterrottamente, affiancandola all’insegnamento e alla ricerca scientifica:

  • Le catene lineari del corpo;
  • Le catene lineari del corpo e dello spirito;
  • Le catene lineari secondarie del corpo e dello spirito;
  • La fabbrica dei sentimenti sul corpo dell’uomo (3 volumi);
  • Le meraviglie dell’autoscopia;
  • Le meraviglie dell’eteroscopia;
  • Telepatia e radio-onde cerebrali;
  • Telepatia etelediagnosi;
  • Le immagini dei vivi e dei morti richiamate dalle loro opere;
  • L’Universo rappresentato dal corpo dell’uomo;
  • Il cancro;
  • Malattie infettive;
  • Nuove meraviglie del corpo umano;
  • Nuove ricerche sul cancro;
  • Le meraviglie della metapsichica;
  • Malattie mentali;
  • La televisione degli Astri: la Luna;
  • Il sistema motorio extrapiramidale(2 volumi);
  • Le meraviglie della Metafisiologia;
  • Delinquenza, malattia mentale

Ma leggiamo direttamente un paio di pagine di questa singolarissima figura di medico aperto al paranormale, all’esoterico, alla stretta connessione fra l’ambito della dimensione materiale e quello della metafisica, nel senso aristotelico di «oltre la fisica». Scrive, dunque, Giuseppe Calligaris nel libro Le meraviglie della Metafisiologia (Editore Giulio Vannini, Brescia, 1944, pp. 112-113 e 143-144):  “Noi abbiamo già scritto nei nostri libri che «l’antenna ultrapotente qual è il corpo umano ricetta tutto ciò che è vicino e che è lontano, tutto ciò che egli vede e non vede, vale a dire tutto quanto esiste nell’Universo». Invitiamo lo studioso anche a leggere, nel nostro libro L’Universo rappresentato sul corpo dell’uomo (a pag. 261) il capitolo intitolato «Tutto resta nel mondo, tutto viene conservato, nulla va distrutto». 

Secondo passo: nei miei libri precedenti io ho espresso il concetto secondo il quale la subcoscienza dell’uomo sarebbe in relazione, anzi in intimo rapporto, con quella che venne chiamata la coscienza universale. Quest’ultima, considerata anche come un «deposito cosmico», venne da me più specialmente presa in esame in un mio libro (Le meraviglie della Metapsichica).Se questo concetto fondamentale corrisponde alla realtà, è ben concepibile adunque il fatto che nel nostro subcosciente sia proiettato e depositato, come io sono convinto e sostengo, tutto l’Universo. Orbene, poiché tutta la nostra subcoscienza è proiettata sulla pelle, avviene che la carica di una placca cutanea che sta in relazione con un frammento di questa pantoteca, ne fa assurgere un elemento sul piano della nostra coscienza. Questa visione supernormale è quella che costituisce adunque l’elettroscopia. Essendo che tutto quanto esiste nel Cosmo è visibile elettroscopicamente, e poiché ogni immagine elettroscopica è, come si disse, proiettabile obiettivamente sulla pelle, ecco come sul nostro corpo può venire in realtà proiettato qualsiasi elemento dell’Universo. Quel commercio funzionale, di cui più dietro si fece cenno, fra la subcoscienza dell’uomo e la cosiddetta «coscienza universale», dev’essere un fatto d’importanza fondamentale nella nostra vita. Esso ci spiega per es. tutti i portenti della chiaroveggenza, della visione extraretinica ecc. Noi possiamo assumere cognizione di qualsiasi elemento dell’Universo, perché ogni elemento può emergere dal piano criptico del nostro subconscio dove si trova in permanenza depositato.

(…) Quanto abbiamo scritto nelle pagine precedenti ci apre dunque gli occhi e la mente per vedere e per comprendere un fatto che è meraviglioso e che è nuovo per gli uomini del secolo XX. E il fatto è questo: la pelle del nostro corpo è una mappa sulla quale è proiettato e segnato, secondo un ordine prefissato, tutto il mondo della nostra personalità fisica e psichica, così in condizioni normali che patologiche.

 Ne risulta quindi che non soltanto viene per es. riflessa ogni malattia dello spirito, ma ogni sintomo speciale di qualsiasi psicosi. Si tratta soltanto di trovare, su quella mappa magica cutanea, che è una vera pantoteca, la sede precisa di queste riflessioni psico- o psicopatico-cutanee.

 Il problema è tutto qui. Per l’opposto, la stimolazione leggera, o, come noi diciamo, la carica adeguata di quei foci risveglia dunque, per via di concatenati riflessi cutaneo-psichici, i corrispondenti stati mentali, fisiologici o patologici.

Quanto abbiamo detto qui dietro già rappresenta una grande cosa, ma bisogna aggiungere dell’altro. Sulla nostra superficie cutanea non è soltanto proiettata, in tutti i più minuti particolari e in tutte le sue espressioni, la nostra personalità propria, ma anche quella di tutti gli altri esseri umani con il loro presente, il loro passato e il loro futuro.

 E non basta.

Sulla pelle di ogni essere umano è anche rappresentato tutto l’Universo, nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro.

 Non si tratta dunque di vedere, caricando una determinata placca eteroscopica, per es. l’immagine enorme dell’agente morbigeno di una malattia infettiva; non si tratta di vedere soltanto le lesioni microscopiche di un organo malato (eteromicroscopia); non si tratta di vedere, a distanze astronomiche, la vita degli altri mondi (televisione degli astri), ecc., ma trattasi di un fatto generale: vedere tutte le particolarità dell’intero universo!

Non vi sono eccezioni. Vi avverto dunque, che la superficie cutanea dell’uomo comprende miliardi di placche cutanee, che sono paragonabili ai tasti di un clavicembalo perché la loro compressione, come dietro si disse, richiama nel cervello dell’esaminato tutti gli elementi del Cosmo nel quale è dunque rappresentata anche la Fisiologia umana.

Caricando in modo adeguato speciali placche cutanee o altri sistemi (punti, linee, campi, ecc.) dei quali soltanto pochi ci sono noti finora, è possibile studiare tutte le funzioni fisiologiche e vedere tutti gli spettacoli che avvengono nel microcosmo del nostro organismo. Siamo d’accordo che tutto ciò, come dite voi, «non è concepibile allo stato attuale delle nostre conoscenze». Però, allo stato attuale delle nostre conoscenze è comprensibile tutta la nostra attuale ignoranza. Fin da quando io ho cominciato a proiettare su speciali campi cutanei le immagini degli agenti patogeni, ho considerato quelle proiezioni, visibili e fotografabili, come espressioni dermografiche.

Un tale concetto era maturato nella mia mente in quanto vedevo che le immagini stesse ora apparivano di colore rossastro ed ora di color biancastro. Non potei quindi non paragonarle al noto dermografismo rosso e a quello bianco.

Un’altra ragione che mi richiamava alla mente questi fenomeni era data dal fatto che in qualche caso la proiettata immagine si mostrava di poco prominente sulla pelle (dermografia elevata), come la orticaria factitia (pomfo dermografico). Pensai alle macule ed alle eruzioni eritematose, e rimasi fisso nel mio primitivo concetto, che le immagini che vedevo con stupore essere proiettate sulla pelle (dell’esaminato o dell’esaminatore) non erano che il prodotto di reazioni dermografiche. Ma ecco il primo quesito che si presentava al fisiologo: qual è la genesi e come avviene la distribuzione di queste eruzioni cutanee? Il fenomeno è collegato, così si pensa, con il tono dei piccoli vasi, cosicché tratterebbesi, in ultima analisi, di un fenomeno vasomotorio. Le mie ricerche sulla proiezione delle diverse immagini (di microbi, di esseri umani, di cose, ecc.) non sono favorevoli a questo concetto. Si deve trattare di un meccanismo diverso, che noi ancora ignoriamo e che forse si collega, almeno in parte, con quello della pigmentazione cutanea, nonostante che, ripeto, la sua presentazione di color rosso e di color bianco ci faccia sempre ritornare alla dermografia, fenomeno che, come scrive Comel in un suo libro (Principi di eudermia, Edit.Vannini, Brescia, 1939, pag. 266), «è tuttavia più complesso e tuttora oscuro» nei riguardi dei suoi principali fattori determinanti (epiestesi, innervazione, etc.). Pervenuto adunque nella convinzione che queste immagini supernormali non provenivano  semplicemente da un gioco vasomotorio ma erano in rapporto con una funzione a noi ignota che è preposta alla dermografia, ho pensato di chiamare in aiuto le catene del corpo e dello spirito per vedere se mi portassero qualche luce sul difficile problema. Incominciamo col dire, che il fenomeno del dermografismo è per certo in rapporto con il sistema simpatico, tanto è vero che quando un fenomeno di quella natura si presenta, si accendono le placche cutanee (e le linee) di quel sistema. Durante la comparsa del fenomeno, si accende uno speciale centro cerebrale. Per meglio dire, la sede del centro varia a seconda che trattasi per esempio di una stria cutanea (bianca o rossa) artificialmente prodotta, o di una orticaria factitia, oppure di quelle immagini dermografiche (bianche o rosse) che riproducono sulla pelle, come abbiamo imparato, le forme dei microbi patogeni, di esseri umani, di cose, ecc. Pare che il centro preposto a questa funzione si trovi nella subcortex inferior.

Per ora altro non sappiamo dire circa la genesi di tale fenomeno ancor pieno di misteri, ma già colmo di meraviglie. La subcoscienza mobilizza i laboratori cerebrali che con i loro reconditi meccanismi proiettano sulla pelle del nostro corpo, in sedi speciali, un pigmento, un elemento X, un quid con il quale modella le più diverse immagini, a cominciare con quelle che rispecchiano, con un ingrandimento enorme, la forma dei microbi del nostro corpo. Quali meraviglie per chi ha occhi da vederle! Mi vien da pensare che queste proiezioni visibili di immagini sulla pelle rappresentino, così sarei per dire, il primo passo verso quell’altro grande mistero, che è la formazione del fantasma nelle sedute medianiche. In questo caso avviene la produzione di un altro elemento X (l’etcoplasma) che è proiettato nello spazio anziché sulla pelle, e che assume la forma di un essere umano (psicoplastia).

La vastità e l’audacia della concezione del rapporto esistente, per Calligaris, fra macrocosmo e microcosmo, fra mondo della materia e mondo dello spirito, è tale da lasciare veramente senza fiato colui che l’accosta per la prima volta. Vengono in mente elementi disparati, eppure in qualche modo collegati fra loro, come la psicometria studiata dai parapsicologi; il «cronovisore» messo a punto da padre Ernetti di Venezia (vi fu uno scambio di idee fra i due uomini?); le relazioni fra piano materiale e piano spirituale della realtà, teorizzate in ambito teosofico e antroposofico, da Helena Blavatskij a Rudolf Steiner; l’inconscio collettivo di Jung e le «cronache dell’Akasha» di cui parla la tradizione iniziatica orientale. E, ancora, la capacità di taluni soggetti, scientificamente accertata, di «leggere» il contenuto di un testo scritto, solo tenendolo in mano o posandolo sulla pelle di una zona del proprio corpo (cfr. il nostro articolo «Leggere» con lo stomaco, vedere gli spiriti: il caso della veggente di Prevorst , consultabile sempre sul sito di Arianna Editrice https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=20107). C’è da provare le vertigini… 

Non stupisce, in fondo, che Giuseppe Calligaris non sia stato compreso dai suoi colleghi di ottant’anni fa, e che i suoi studi non abbiano dato luogo, non diciamo a una scuola, ma neppure ad un tentativo di verifica. Stupirebbe, però, se oggi, che sappiamo essere vere o verosimili molte delle sue ipotesi di partenza, qualcuno in Italia non si decidesse a riprendere in mano quel lavoro pionieristico, come già si sta facendo in altri Paesi, per portarlo avanti là dove era rimasto interrotto.

Francesco Lamendola

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