Api, quasi 90 focolai e un milione di danni per un coleottero killer
In Europa non si era mai visto. È comparso per la prima volta nel settembre 2014 a Gioia Tauro e oggi è presente in Calabria e Sicilia. L’Europa ha imposto all’Italia restrizioni per bloccare l’infezione: sembra l’inizio dell’incubo Xylella Fastidiosa, ma la minaccia stavolta si chiama Aethina Tumida.
Quasi 90 focolai, oltre un milione di euro in fumo solo per una parte dei danni subìti dagli apicoltori e l’Europa che impone all’Italia restrizioni per bloccare l’infezione: sembra l’inizio dell’incubo Xylella Fastidiosa, ma la minaccia stavolta si chiama Aethina Tumida. È un coleottero che attacca api da miele e bombi. In Europa non si era mai visto. È comparso per la prima volta nel settembre 2014 a Gioia Tauro e oggi è presente in Calabria e Sicilia.
Due settimane fa l’Efsa ha lanciato l’allarme: “Se gli alveari infestati venissero spostati, il parassita potrebbe sopravvivere in tutti gli Stati membri e diffondersi rapidamente su grandi distanze”. Come è accaduto per la Xylella, l’Europa ha già imposto delle regole: gli apicoltori sono stati costretti a distruggere gli apiari infetti, mentre api regine e colonie non possono uscire dalle ‘zone rosse’. “Il coleottero annienta la popolazione delle api” spiega a ilfattoquotidiano.it Francesco Artese, presidente della sezione calabrese della Federazione Apicoltori Italiani. Al momento l’infezione non è mai uscita dalle aree infette ma il rischio è alto. “E non si sa – dice Artese – né come sia arrivata in Italia, né da quale Paese arrivi”.
L’infezione in Calabria e Sicilia
L’Aethina Tumida è attratta dal polline e dai ferormoni rilasciati dalle api. “Una volta entrato nell’alveare – dice Artese – il coleottero depone le proprie uova che si schiudono dopo qualche giorno. Per nutrirsi, le larve mangiano il miele e la covata delle api”. Larve e scarafaggi adulti defecano poi sui favi, rendendolo inutilizzabile anche il poco miele che rimane. Il coleottero non era mai stato avvistato in Europa prima dell’11 settembre 2014. Il Centro di referenza nazionale per l’apicoltura dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ne ha confermato la presenza a Gioia Tauro (Reggio Calabria). Altri apiari infestati sono stati segnalati nella vicina Taurianova. A due mesi dal primo caso, il 7 novembre, è stato confermato il primo caso in Sicilia, in provincia di Siracusa. Nel 2014 sono stati segnalati 59 focolai in Calabria e uno in Sicilia. La situazione è stata monitorata e sono stati distrutti gli alveari infetti. Un anno fa è stata avviata l’anagrafe delle api italiane, per garantire maggiore trasparenza e rintracciabilità. Intorno all’epicentro dei focolai sono state istituite le ‘zone rosse’ del raggio di 20 chilometri, all’interno delle quali non si possono allevare api ed è necessario bonificare il terreno. Per nove mesi non sono stati più trovati nuovi focolai. Poi, inaspettatamente, il 16 settembre scorso è stata confermata la presenza di adulti e di una larva in un apiario a Figurelle di San Martino, località del Comune di Taurianova (RC). Nel 2015 sono stati segnalati in Calabria 29 alveari infetti.
L’allarme lanciato dall’Efsa e le misure adottate
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha presentato un parere scientifico, raccomandando all’Italia di mantenere le restrizioni in vigore fino a marzo del 2017 “sullo spostamento di api da miele, bombi e materie prime da zone infestate a zone indenni”. Secondo i modelli elaborati dagli esperti, il parassita impiegherebbe più di un secolo per spostarsi naturalmente dalla Calabria in Abruzzo. Il trasferimento degli alveari infestati, invece, farebbe accelerare questo processo. L’Efsa ha suggerito una serie di accorgimenti sui prodotti utilizzati, continui monitoraggi, buone pratiche apistiche e un’attenta igiene dell’alveare. La Commissione europea ha invece imposto restrizioni sugli scambi commerciali all’interno dell’Unione: colonie e api regine non devono lasciare le zone soggette a restrizioni, in Calabria e Sicilia.
I danni nel settore e i rischi
Gli allevatori calabresi hanno ricevuto gli indennizzi dopo più di un anno dalle prime denunce. “La cifra anticipata dal ministero della Salute – spiega Artese – è di un milione e 187mila euro”. L’importo liquidato copre solo l’89 per cento del totale richiesto ed è stato diviso in misura proporzionale fra tutti i beneficiari: 32 aziende apistiche, per 3.360 alveari messi al rogo. L’indennizzo vale per il 2014 e copre solo i danni per gli alveari distrutti e non quelli per la mancata produzione. Per il 2015 ci sarà da rifare l’iter. Intanto agli apicoltori è vietato riprendere l’attività produttiva. “Per l’anno appena concluso – spiega Artese – il danno potrebbe ammontare a circa 800mila euro”. E il parassita non è uscito dalla Calabria e dalla Sicilia. Quali danni potrebbe fare se arrivasse in altre regioni o in Europa? “Incalcolabili – spiega il presidente – se si pensa che l’economia apistica europea ammonta a circa 50 milioni all’anno”.
Il contagio tra ipotesi e rischi
Bloccare le esportazioni da Calabria e Sicilia non mette l’Europa al sicuro: se il parassita dovesse arrivare in qualche altra regione italiana non sottoposta a embargo potrebbe davvero rappresentare un serio rischio. “Il tentativo di eradicazione avviato nel 2014 con i roghi degli alveari – dice il presidente della Fai Calabria – andava fatto, ma non ha risolto il problema”. Infatti altri focolai sono stati scoperti fino a poche settimane fa. “Non sappiamo se gli alveari infettati nel 2015 sono frutto della diffusione del parassita trovato l’anno prima” spiega Artese, che sottolinea la necessità di trovare il ‘paziente zero’. In pratica il parassita potrebbe essere arrivato in più riprese. Ma da dove? Api e alveari possono entrare in Italia solo attraverso gli scali di Malpensa e Fiumicino e le api sono importate soprattutto da Cile e Argentina, dove il coleottero non è presente. Questo legalmente. Perché il primo ritrovamento a pochi chilometri dal porto di Gioia Tauro è sospetto. “Non si può escludere che qualcuno abbia importato api regine senza rispettare le regole, magari da Stati Uniti, Nord Africa, Australia, dove è ormai un parassita endemico” ipotizza Artese. E potrebbe essere anche capitato in più occasioni. Così si spiegherebbero quei nove mesi intercorsi tra l’ultimo focolaio avvistato nel 2014 e il primo del 2015. “Abbiamo bisogno di maggiori controlli sul territorio ed è per questo che ci chiediamo perché non sia ancora stato impiegato il Corpo forestale, così come decretato dal Governo” conclude Artese. Pochi controlli, indennizzi non sufficienti e lo stop alle attività produttive potrebbero far desistere gli apicoltori che vogliono rispettare le regole. E sarebbe il caos.
di Luisiana Gaita | Il Fatto Quotidiano 4 gennaio 2016
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