LA GRAMIGNA NON E’ UN’ ERBA CATTIVA

Dente Canino (Agropyrum repens)
Un tempo nelle nostre campagne si usava dire “è peggio della gramigna” per indicare qualcosa che provocava gravi danni, tanta è la cattiva considerazione in cui è sempre stata tenuta questa pianta dalla gente comune per il solo fatto di essere infestante; coloro che invece ne conoscono le virtù sanno trarre dei vantaggi dalla sua esuberanza, che permette loro di averla sempre a disposizione e di attingervi a piene mani.
In apparenza la gramigna è una pianta senza storia, e ha sempre fatto parlare di sé soltanto per i danni che arreca alle coltivazioni e ai giardini; si hanno però notizie del suo uso medicinale presso greci e romani, Castore Durante nel suo “Herbario Nuovo” del 1585 ne elenca le proprietà terapeutiche. Si presume che il suo impiego medicinale abbia tratto origine dall’osservazione dell’uso che ne fanno gli animali, specialmente cani e gatti, per “rinfrescarsi” o quando hanno problemi digestivi.
La gramigna appartiene alla più importante famiglia del regno vegetale: le Graminacee. A questa famiglia appartengono infatti il grano, la canna da zucchero, il granoturco, le foraggere, piante di vitale importanza per l’uomo. Le due specie che a noi interessano per il loro uso officinale sono il Dente Canino (Agropyrum repens) e la Gramigna rossa (Cynodon dactylon), due erbacee perenni con rizoma strisciante e ramificato. La prima ha radice gracile, bianca, che può raggiungere qualche metro di lunghezza, dai cui nodi partono gli steli gracili e sottili, con foglie molli a guaina, scabre; l’infiorescenza è una spiga appiattita a spighette sessili corte e piatte. E’ comune nei terreni coltivati.
La seconda, molto più facilmente riconoscibile, possiede una radice due volte più grossa, ai cui nodi si trovano le gemme che producono i fusti eretti con foglie alterne, formate da una guaina che avvolge il fusto e da una lamina piatta; l’infiorescenza è formata da spighe sottili riunite in ombrelle terminali che si aprono come le dita di una mano (“Dactylon” dal greco “Daktylos”: dito). Entrambe le specie sono infestanti e sono diffuse nei campi coltivati, lungo le strade, nei luoghi incolti, nei pascoli, dal mare alla zona montana.
Le due gramigne hanno le medesime proprietà officinali. I rizomi si raccolgono preferibilmente in primavera o in autunno, scavandoli dalla terra con una zappa (ma si possono raccogliere tutto l’anno), si lavano bene e volendoli conservare si fanno essiccare al sole riponendoli poi in sacchetti di carta, dopo averli tagliati a pezzi ed avere raschiato la pellicola esterna che è molto amara. Data la grande disponibilità della pianta si consiglia però di usarla sempre fresca, essendo indubbiamente più efficace.

Gramigna rossa (Cynodon dactylon)
I principali costituenti sono formati da zuccheri, sali potassici, mucillagini, triticina.
Le sue proprietà sono diuretiche, depurative, antinfiammatorie, febbrifughe, emollienti, antireumatiche e trovano indicazione per tutte le infiammazioni dell’apparato digerente ed urinario, per combattere la febbre, i calcoli e i reumatismi. L’uso della gramigna e controindicato agli ipertesi da sclerosi renale.
Il suo impiego più comune è sotto forma di infuso o decotto. L’infuso si prepara mettendo a bollire una piccola manciata di radici (preferibilmente fresche) per un minuto in un litro d’acqua, si butta questo primo liquido perché molto amaro, si mette la gramigna in un altro litro d’acqua  già a bollore e si bollire per dieci minuti, si spegne e si aggiungono un pizzico di liquirizia, uno di menta e la parte esterna della scorza di un limone biologico, lasciando riposare dieci minuti; si filtra e si beve nel corso della giornata. Esso è particolarmente indicato in tutte le malattie del fegato e della vescica, itterizia, calcoli biliari, coliche renali, cistite, ecc. ; si consiglia inoltre contro la cellulite e la ritenzione di liquidi.
Il decotto invece si prepara mettendo una piccola manciata di foglie, spighe e radici ben lavate e pestate in un litro d’acqua fredda, si fa bollire per venti-trenta minuti, si filtra e se ne bevono da due a quattro tazze da tè al giorno, mattina e sera, come “cura depurativa di primavera” e per prevenire disturbi al fegato.
Tintura madre – 40 gocce diluite in un po’ d’acqua, 3 volte al dì, indicata per: edemi e ritenzione idrica, cellulite, infiammazione delle vie urinarie, calcolosi delle vie urinarie.
In cucina, anche se vi sembrerà strano, si usano ben tritati i germogli primaverili (che assomigliano a delle piccole “ochette”), quando sono gonfi e ricurvi, freschi e senza pellicola, come ingredienti per zuppe, minestroni, minestre, frittate d’erbe e gelatine, che oltre ad essere una vera ghiottoneria svolgono le funzioni sopra citate più semplicemente e con maggiore … soddisfazione.
Ricordiamoci inoltre che nei tempi duri del passato, quando le restrizioni lo imponevano, tra i tanti surrogati in uso si confezionava con la farina ottenuta dalle radici macinate di gramigna perfino il pane, nonché zucchero, alcool, birra, e caffé: senza caffeina, naturalmente.
Onestino Leonardi

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