La Fava

La fava (Vicia faba o faba vulgaris) è una leguminosa papilionacea, conosciuta e coltivata fin dall’antichità nel bacino mediterraneo e nell’area mediorientale come alimento per l’uomo e per gli animali. Il suo impiego è quindi diversificato: per il consumo della granella, sia fresca che secca, per il bestiame come foraggio proteico ed anche come sovescio per il mantenimento e incremento della fertilità del suolo. Se ne conoscono tre varietà botaniche facilmente distinguibili per la dimensione del seme: major, minor ed equina , di queste è la prima ad essere impiegata per la coltivazione nell’orto e il consumo umano. La Vicia faba minor, conosciuta come favino è stata rivalutata negli ultimi anni come interessante essenza da sovescio, nonché oggetto di studi per l’autoapprovvigionamento proteico nelle aziende zootecniche italiane. Questo aspetto è di particolare importanza per le aziende biologiche, biodinamiche e per tutti quegli operatori che preferiscono orientarsi verso colture alternative alla soia. Si tratta comunque di una specie che ama climi caldi e il favino, destinato alla produzione di granella, ha finora dato risultati estremamente variabili, legati all’andamento climatico. L’impiego invece come essenza da sovescio, sia pura che in miscela con altre essenze atte ad aumentare il rapporto C/N della massa che si andrà a incorporare nel suolo, risente meno dell’effetto di climi più rigidi in quanto la pianta è interrata ben prima della sua fruttificazione.
La Vicia faba major, la fava degli orti, è coltivata per la sua granella che può essere consumata fresca o essiccata. I semi di fava secchi hanno un alto contenuto proteico: la loro composizione media è infatti la seguente: sostanza secca 85%, sostanze azotate 23-26%, ceneri 3%, grassi 1,2%, fibra grezza 7%, estrattivi in azotati 48%.
In Italia e nel bacino mediterraneo è presente e nota la malattia del favismo. Il favismo è un difetto congenito di un enzima normalmente presente nei globuli rossi, la glucosio-6-fosfato-deidrogenasi, essenziale per la vitalità degli eritrociti e in particolare per i processi ossidoriduttivi che in essi si svolgono. La carenza di questo enzima provoca un’improvvisa distruzione dei globuli rossi (emolisi) e quindi la comparsa di anemia emolitica con ittero, quando il soggetto che ne è carente, ingerisce fave. Forse a causa di questo fenomeno, e comunque per una certa difficoltà di digestione che questo legume presenta, nell’antichità molti filosofi ne avversarono con forza il consumo. Sotto il profilo biodinamico ed antroposofico si può dire che la fava, e in genere molte leguminose, è fortemente soggetta all’impulso astrale che agisce principalmente sull’albumina e questa forte astralità provoca disordini nell’organismo aereo dell’uomo.
La fava predilige terreni profondi dove le radici, di norma piuttosto espanse, possano svilupparsi senza difficoltà. Per contro non ha particolari esigenze nutritive avvantaggiandosi dei proficui rapporti trofici di scambio con microrganismi azoto fissatori. La fava ben si adatta a climi miti, l’epoca di semina dipende dall’andamento climatico del territorio: in autunno nelle regioni a clima mite e in primavera in quelle settentrionali dove l’inverno è più freddo. Si semina a file in solchi distanti 50-60cm e con semi a 30 cm di distanza fra loro sulla fila, ricoprendo leggermente il seme dopo averlo collocato a dimora. E’ altresì possibile inserire la fava in uno degli anelli più esterni nel caso di voglia praticare l’orticoltura circolare. Il seme si colloca nel terreno a una profondità di 5-8 cm a seconda del rischio di gelate, Il seme non ha di norma problemi di germinazione ma è possibile fare bagni in acqua a temperatura ambiente per 24 ore prima della messa a dimora. Assolutamente da evitarsi, o comunque da applicarsi con estrema cautela, la concia umida in acqua calda (per sospette infezioni batteriche a carico del seme) perché le proteine del seme si alterano molto facilmente e basterebbe un minimo sbalzo termico per inattivare la semente. Per quanto riguarda le cure, la fava non è una coltura esigente avvantaggiandosi comunque di una rincalzatura primaverile e di sarchiature per eliminare le infestanti. Tra le varietà più note e coltivate c’è la Aguadulce’, precoce e molto produttiva, ma le varietà locali autoctone sono innumerevoli.
I problemi di ordine fitosanitario sono principalmente legati ad attacchi di afide nero e tonchio per i quali si può intervenire ad esempio con macerati d’aglio e ortica che hanno effetto repellente ed insetticida al contempo, particolarmente efficace è la consociazione o comunque la vicinanza ad arbusti d’alloro per ridurre le infestazioni di tonchio.

Cristina Marello

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