La pratica della biofumigazione consiste nella disinfezione del suolo agrario, in particolare appezzamenti destinati a coltivazione intensiva, tramite il sovescio di determinate piante capaci di produrre sostanze biologicamente attive nei confronti di parassiti animali e vegetali delle colture agrarie.
La disinfezione del suolo è una tecnica nota da decenni e impiegata soprattutto per le colture intensive da alto reddito. Fin dagli anni ’80 il bromuro di metile è stato, per moltissime aziende orticole e floricole convenzionali, un mezzo di difesa pressoché irrinunciabile come geodisinfestante. Le conseguenze nefaste di tale impiego, a livello ambientale e sanitario, seppur note da lungo tempo (il bromuro di metile fu inserito nel protocollo di Montreal nel 1987 quale sostanza responsabile della distruzione della fascia dell’ozono) hanno portato alla proibizione del suo impiego soltanto a partire dal gennaio 2005. Parallelamente alla bromurazione si è sviluppata nei decenni scorsi la tecnica della disinfezione a vapore, più costosa rispetto alla prima, ma scevra dal rilascio di molecole tossiche nel suolo e nell’ambiente. In entrambi i casi lo scopo di tale pratica era ed è la sterilizzazione del suolo (fino a una profondità variabile di 35-45 cm o comunque dell’intera massa di terra in caso di coltura in bancali) finalizzata a distruggere tutti gli organismi nocivi (funghi, batteri, nematodi e fitofagi) tellurici, in grado di attaccare le colture agrarie. Ovviamente tale pratica non ha alcuna selettività distruggendo indifferentemente tutte le forme di vita presenti nel suolo creando così il cosiddetto “vuoto biologico”. A questo va ad aggiungersi l’effetto sulla matrice umica che viene fortemente alterata e il più delle volte mineralizzata.
La necessità di sterilizzare i suoli nasce da uno sconvolgimento dell’agroecosistema e da un grasve squilibrio a livello della comunità biotica che lo abita. In una situazione equilibrata infatti le varie popolazioni di microrganismi vivono in una rete di rapporti topici e trofici tali da garantire uno sviluppo contenuto delle varie specie e razze di funghi, batteri, nematodi etc che si regolano vicendevolmente attraverso i vari rapporti di predazione, parassitismo, simbiosi e competizione. Quando viene a mancare la buona pratica agricola che prevede ampie rotazioni e avvicendamenti, la scelta di cultivar e specie idonee per la situazione pedoclimatica, un razionale piano di concimazione e irrigazione, etc… ecco che popolazioni di agenti patogeni possono avvantaggiarsi di una situazione ad esse favorevoli (presenza abbondante dell’ospite) e causare infezioni e infestazioni virulente e distruttive a carico delle colture agrarie. La pratica della disinfezione del terreno si può quindi a buon conto considerare come un rimedio tardivo a una gestione colturale scorretta.
A causa di molteplici fattori è comunque sempre possibile l’insorgenza
di problemi fitosanitari a livello del terreno, nonostante l’attenzione e la cura nella pratica agricola (ad esempio un decorso climatico avverso o un guasto all’impianto di irrigazione, partite di sementi infette, nella pratica agricola gli imprevisti sono all’ordine del giorno). Può anche accadere che si verifichino fenomeni di stanchezza del terreno in colture pluriennali o in appezzamenti molto sfruttati. Da qui l’idea di unire alla pratica del sovescio alla pratica del sovescio con piante naturalmente dotate di sistemi di difesa contro avversità animali e vegetali.
Al giorno d’oggi esistono numerose essenze e miscele di biocide da sovescio disponibili sul mercato. Le principali piante che svolgono quest’azione sono il rafano, la Brassica juncea e Brassica napus, la senape, la facelia,…
La stragrande maggioranza delle piante biocide appartiene alla famiglia delle Crucifere e sono caratterizzate dall’elevato contenuto a livello cellulare di composti glucosinolati e di un enzima detto tirosinasi. Quando avviene una lesione a livello cellulare i due componenti entrano in contatto, l’enzima aggredisce (idrolizza) i glucosinolati dando origine a isotiocianati che, pur essendo composti di natura molto volatile, disperdendosi nell’ambiente, sono in grado di inattivare parassiti vegetali (funghi e batteri), nematodi, artropodi e finanche semi. L’efficacia del sovescio biocida è perciò proprio legato alla rottura cellulare, è per questo quindi che è altamente raccomandata la trinciatura della massa vegetale prima dell’interramento. L’efficacia del sovescio biocida è anche direttamente proporzionale al contenuto in glucosinolati che è massimo in concomitanza con la fioritura.
Il fatto che una molecola sia di origine naturale piuttosto che di sintesi, non significa che l’una sia innocua o migliore dell’altra a livello ambientale o sanitario. In effetti è possibile trovare bromuro di metile di origine naturale, prodotto da alghe marine. La qualità dell’azione biocida di un sovescio è da ricercarsi non tanto nella tossicità intrinseca della molecola liberata, quanto in altri aspetti più generali. In primo luogo le sostanze biocide liberate da una crucifera sovesciata sono estremamente volatili e dotate di un’emivita piuttosto breve, ciò si traduce nel fatto che non si verifichino fenomeni di deriva o di bioaccumulo. In secondo luogo l’effetto biocida della pianta non pregiudica in alcun modo l’azione propria del sovescio, ovvero quella di proteggere il suolo con una copertura vegetale tra una coltura principale e la successiva e quella di apportare sostanza organica. Infine l’azione risulta essere piuttosto immediata perciò capace di agire sommariamente sulle popolazioni più consistenti di comunità telluriche senza creare un vuoto biologico. Si ottiene quindi una sorta di epurazione a partire dalla quale sarà possibile una ripopolazione più equilibrata da parte degli organismi superstiti. L’azione più armonica è quella che si ottiene attraverso le miscele di essenze, soprattutto in caso di inerbimenti temporanei o permanenti di colture pluriennali.
Non tutte le piante biocide hanno i medesimi effetti, ad esempio il rafano ha un’azione più spiccata nei confronti dei nematodi, la Brassica napus è attiva contro nematodi e svariati agenti del marciume del colletto (Rhizoctonia, Phytopthora sp.p, Fusarium, Sclerotinia,…), Brassica juncea è particolarmente attiva contro gli oomiceti e in particolare contro Phytopthora cactorum, la senape ha un’elevata azione nematocida che la rende particolarmente efficace come sovescio per la barbabietola, la facelia, principalmente apprezzata come pianta mellifera, ha una discreta azione contro alcuni funghi agenti di tracheomicosi.
Ad ogni buon conto è opportuno ricordare che la pratica biologica non è una semplice sostituzione dei principi di sintesi con molecole di origine naturale. Pensare ad un impiego delle piante biocide come un sostituto della disinfezione del terreno è concettualmente, e anche praticamente, errato. In primo luogo l’azione del sovescio non è valutabile in termini di efficacia antiparassitaria come se si trattasse di un trattamento fungicida o insetticida. Ma soprattutto le caratteristiche di tali piante sono da considerarsi utili in un contesto di biocenosi, ovvero all’interno di un programma di operazioni e pianificazione aziendale volta a mantenere e preservare al massimo l’equilibrio ambientale e la fertilità organica del suolo. La pratica agricola è di per se un’alterazione dell’ecosistema, ma è possibile comprendere e integrare nell’organismo agricolo le strategie che la natura attua per mantenere un equilibrio dinamico tra le varie comunità di esseri viventi.
Cristina Marello