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DALL’ ULTIMO GRANDE POTATORE FRUTTICOLO UNA SPERANZA PER LA PERICOLTURA ITALIANA

La storia della frutticoltura coincide con l’evoluzione delle tecniche di potatura dovuta a personaggi indimenticabili che hanno consentito lo sviluppo della coltivazione delle piante da frutto come oggi le conosciamo. I veri grandi potatori sono quelli che hanno inventato modi nuovi di intendere ed applicare i tagli portando miglioramenti nella gestione e fruttificazione delle piante da frutto; non sono da confondere con i bravi potatori, sicuramente molto più numerosi, che sono quelli in grado di applicare correttamente le tecniche di potatura. Fra i primi ricordo il compianto dott. Cellini il quale ha modificato l’approccio alla potatura delle piante da frutto rispettandone la fisiologia. Padre della potatura a tutta cima ha rivoluzionato soprattutto la fase di allevamento delle piante da frutto in particolare per il melo aprendo così le porte dell’aumento della densità di impianto come oggi la conosciamo. Nelle drupacee la sua proposta del famoso “bidone” per il pesco ha dato l’inizio alla individuazione del fusetto come forma di allevamento oggi applicata su diverse specie. Altro grande innovatore fu Oriano Bandoli che osservando il naturale portamento del pesco, mise a punto le tecniche di taglio per ottenere il “vaso ritardato” forma ancora oggi di grande diffusione ottenibile esclusivamente con operazioni di potatura senza l’ausilio di tutori, legature ecc. che consente un notevolissimo risparmio nei costi di produzione; se questi due personaggi sono ben noti a chi da diversi anni si occupa di frutticoltura (forse meno a chi si è approcciato ad essa più recentemente) , mi sentirei di citare anche i molto meno noti fratelli Peyracchia, piemontesi che hanno proposto una potatura del kiwi totalmente innovativa. In realtà il sistema da loro proposto non ha trovato grande applicazione probabilmente a causa della difficoltà e, forse della scarsa applicabilità in ambienti diversi dai loro (Piemonte), tuttavia non si può dimenticare di come sistematizzarono la classificazione dei rami del kiwi evidenziando la possibilità di rivoluzionare la fruttificazione del kiwi portandola su rami di dimensione da piccola a media anziché sui lunghi rami vigorosi come viene abitualmente fatto.

 

L’ultimo grande potatore, poco conosciuto, ma non per questo meno importante è stato Tino Cavallari da Copparo (Ferrara), una vita trascorsa in mezzo ai frutteti sempre pensando a come potere migliorare la gestione del frutteto con particolare riguardo al pero al quale ha dedicato la intera vita; a lui si deve la messa a punto di un sistema di potatura del pero innestato su portinnesti vigorosi (che vengono sistematicamente ignorati dalla stragrande maggioranza dei tecnici frutticoli a causa della incapacità a gestire la elevata vigoria e di ottenere di conseguenza produzioni accettabili), che consente di ottenere elevate produzioni, di ottima qualità, contenimento della vigoria delle piante e diminuzione dei costi di potatura. Per comprendere meglio il personaggio è opportuno contestualizzare brevemente le problematiche della coltura del pero: da sempre i peri, nelle zone tipiche della sua coltivazione (le tre provincie Ferrara Bologna, Modena) vengono innestati su diversi tipi di cotogno che, quindi, hanno fatto la storia della pericoltura; la fortuna di questi tipi di portinnesti è stata dovuta, essenzialmente alla diminuzione della vigoria (diversa a seconda del tipo di cotogno) che inducono che, come ben noto, si accompagna a precoce entrata in produzione, pezzatura di frutti elevata, possibilità di farei impianti fitti ecc. A questi aspetti indubbiamente positivi se ne associano altri estremamente negativi (che sono andati via via peggiorando nel corso degli ultimi anni): affinità di innesto spesso non ottimale e non con tutte le varietà, sensibilità alla clorosi ferrica che va contrastata con continui e abbondanti apporti di correttivi, scarsa adattabilità a diversi tipi di terreno, disomogeneità nello sviluppo delle piante ecc. Un’ alternativa a questi soggetti è costituita dai soggetti appartenenti alla genetica del franco. Questi portinnesti hanno la caratteristica di essere molto più adattabili a diversi tipi di terreno, di essere affini a tutte le varietà, di non essere sensibili alla clorosi ferrica di fornire una ottima omogeneità di piante; di contro posseggono una elevata vigoria che se non ben gestita porta a eccessivo sviluppo delle piante, ritardo nella entrata in produzione, scarsa produttività in particolare per la “regina delle pere, l’ Abate Fetel che costituisce la principale cultivar coltivata in Italia. Questi portinnesti, se ben gestiti, consentono elevate produzioni senza l’utilizzo di elevati input esterni, cosa particolarmente importante per una coltivazione “sostenibile”. In questo scenario si inserisce il Cavallari il quale individua un sistema di potatura totalmente innovativo (non è esagerato dire che propone esattamente il contrario di quello viene normalmente fatto.

Provo a riassumere velocemente i punti salienti della “potatura Cavallari” accompagnati dalle tipiche frasi che Tino quasi ossessivamente pronunciava:

  • va abbandonata qualsiasi geometria della pianta (“le geometrie fanno perdere tempo, il tempo costa e il frutticoltore deve produrre al minor costo possibile);
  • In piante squilibrate che presentano un eccesso di vigore e scarsa produttività il legno nuovo, compresi i “succhioni” deve essere lasciato quasi tutto (“deve essere di più il legno sulla pianta che quello per terra”, il legno sulla pianta è il migliore brachizzante per la pianta stessa”);
  • la produzione deve essere portata per la stragrande maggioranza da rami di grosse dimensioni e di 1, 2 e 3 anni e poi va rinnovato (“il padre, il figlio e il nonno, per identificare rispettivamente il legno di 1 anno, di 2 anni e quello di 3 anni che ha già prodotto una volta);
  • Si inizia a tagliare cercando legno nuovo solo quando la pianta comincia ad invecchiare troppo;
  • Si deve tendere a chiudere il più possibile tutti gli spazi della parete del frutteto con rami produttivi (“quando si fanno i trattamenti non si deve trattare l’aria”);
  • La cultivar Abate Fetel deve essere la prima ad essere potata (normalmente viene consigliata la potatura in fioritura) appena cadute le foglie e mai andare oltre la fase di gemma ingrossata;
  • ultimo aneddoto, forse il più divertente è quello quando raccoglieva un succhione da terra (che era stato tagliato) e che chiedeva agli astanti perchè quel ramo fosse stato tagliato, l’obiezione della maggioranza dei presenti era che il ramo era improduttivo perché troppo grosso, troppo dritto, troppo in ombra ecc. il Tino svelava la sua semplice verità fra l’ilarità generale: quel ramo non produce perché è per terra, se fosse rimasto sulla pianta avrebbe prodotto.

L’INCONTRO CON TINO

 Ho conosciuto Tino all’inizio degli anni ’90 quando si individuò la tecnica della riproduzione delle piante, comprese quelle da frutto, con la micropropagazione. In breve tempo furono provate tutte le specie frutticole con questa tecnica; oggi sappiamo che risultati positivi sono stati ottenuti solo in pochi casi che continuano ad essere utilizzati (kiwi, portinnesti, piante ornamentali e poco altro). Nel caso dei peri le piante ottenute hanno da subito mostrato grande adattabilità ai diversi tipi di terreno, ma con grande vigoria tipica del portinnesto “franco” (seppure con notevoli differenze fra una varietà e una altra). Presto si sono ottenute piante di grandissime dimensioni spesso non produttive; questo ha ben presto portato a giudizi negativi su questo tipo di piante che sono state sostanzialmente abbandonate e non più prodotte dai vivaisti. Di questi impianti fatti negli anni 90 ne rimangono un certo numero di ettari soprattutto nelle provincie di Forlì-Cesena e Ravenna che risultano ben produttivi e danno soddisfazioni ai frutticoltori.

Un giorno fui invitato da alcuni colleghi per andare a trovare un signore che teorizzava la potatura sfruttando i succhioni delle piante (i rami che tutti i potatori e tutti i manuali di potatura ancora oggi consigliano di tagliare durante la potatura invernale. Date queste premesse ricordo lo scetticismo con il quale affrontai il viaggio verso le lande ferraresi pensando di sprecare una giornata che si sarebbe potuto sfruttare in maniera più proficua. All’arrivo nel primo frutteto, al contrario, ci si presentò uno spettacolo inaspettato: piante autoradicate delle cultivar William e Abate, di grandissima dimensione come quelle che conoscevo nelle nostre zone, ma stracariche di frutta dalla parte alta fino a terra e con crescite molto contenute; in particolare nella parte alta erano presenti rami di notevoli dimensioni che si notava erano stati accorciati durante l’inverno con la presenza di un numero di frutti mai visti: 8-10 frutti di ottima pezzatura in ogni ramo. Cominciamo a parlare e Tino comincia a raccontarci del suo modo di gestire le piante vigorose, lasciando quasi tutti i succhioni affinchè facessero da brachizzanti per le piante le quali dovevano “girare a frutto”; ci parla di produzioni costanti su tutte le varietà (ovviamente in particolare William e Abate Fetel)di 40/50 ton/ha.

Da allora è iniziata una frequentazione di oltre 30 anni che non è ancora finita nonostante da qualche anno, per motivi di salute Tino non sia più attivo come potatore; la sua enorme esperienza, tuttavia non andrà perduta visto che il nipote Max dopo avere seguito il nonno per tanti anni, ne ha preso l’eredità e, assieme a diversi amici e compagni, prosegue l’opera del nonno in tanti frutteti.

LA STORIA DI TINO

 Nato 88 anni fa ha sempre vissuto e lavorato in campagna sia come dipendente sia come consulente e imprenditore. Racconta che all’inizio del suo lavoro di campagna si arava ancora con le mucche e le coltivazioni tipiche della sua zona (il ferrarese) erano grano, bietole e mais e qualche sparuto filare di uva. Già allora in campagna si faceva fatica ad avere redditi adeguati, c’era il problema che durante l’inverno non si aveva lavoro e, di conseguenza, tanto tempo libero. Iniziò così a occuparsi di potatura nei primi frutteti che stavano comparendo in zona (per lo più pereti) all’inizio degli anni 60. Iniziò seguendo 3 ettari di pere di proprietà di un dentista di Copparo e alcuni ettari della azienda Vinci. Allora le piante erano molto rade verso i 4 metri da pianta a pianta (seppure già allora innestate su cotogno). Nel 1963 andò a gestire 7 ettari di peri a Copparo con presenza di Abate Fetel e Passacrassana che spesso presentava alternanza di produzione (racconta di come a quei tempi la produzione fosse destinata in grande percentuale all’AIMA e alla distillazione e di come questo comportasse truffe e illeciti). Due sono sempre state le idee che hanno appassionato l’uomo: l’aumento della produzione ottenibile per ettaro e la diminuzione dei costi di produzione (a dimostrazione dei corsi e ricorsi storici sono esattamente i due aspetti che anche oggi dopo tanti anni tutto il mondo che ruota attorno alla coltura del pero propone come aspetti critici e, quindi da migliorare): ogni operazione che avesse diminuito il numero di ore necessarie era da favorire purchè non andasse a diminuire la produzione. Poco dopo, anche grazie alle difficoltà che incontrava nel fare accettare le sue idee innovative, si mise in proprio e cercò di sviluppare le sue idee che nel frattempo aumentavano anche e soprattutto grazie alle sue non comuni doti di osservatore. Ad esempio l’idea di lasciare rami vigorosi senza piegarli nacque per caso dopo avere osservato che in un frutteto dove si era decisi di piegare diversi rami a causa della loro dimensione ritenuta eccessiva si decise di rimandare l’operazione a periodi con maggiore disponibilità di tempo; come spesso capita non si ebbe tempo di eseguire la operazione e notò, l’inverno seguente, che questi rami, di qualunque dimensione fossero e in qualunque zona della pianta fossero, presentavano gemme a fiore e furono utilizzati per ottenere una ottima e abbondante produzione nell’anno successivo.

Alla fine degli anni 70 prese in affittò 25 ettari di peri nella zona di Consandolo che gestì per circa 37 anni e dove affinò le sue idee sulla potatura. In quegli anni mise a punto la sua altra grande intuizione: l’introduzione dei forbicioni (nella potatura dei peri) tanto che Tino viene nominato “quello della potatura con i forbicioni”.

La prima volta che gli venne in mente stava potando dei peschi allevati a vaso e trovava particolarmente scomodo spostare sempre la scala per riuscire ad arrivare nelle cime; pensò allora di attaccare alla bella e meglio due rudimentali manici alle normali potatrici manuali; visti i buoni risultati ottenuti adottò definitivamente i forbicioni (oggi tanto diffusi in campagna) non prima di avere effettuato numerose prove a casa sua (dove nel frattempo aveva piantato alcuni ettari di pere) mettendo a confronto le forbici manuali, le forbici pneumatiche e i forbicioni verificando che l’utilizzo dei forbicioni dava sempre i migliori risultati in termini di tempo e qualità del lavoro. Nel tempo ha portato la sua esperienza nelle più grandi e importanti aziende della sua zona (Mazzoni, Gerin, azienda Camposanto, azienda Montanari di Ravarino ecc); ottenendo sempre ottimi risultati di campo ma, come lui dice, raccogliendo sempre più critiche che consensi: il suo modo troppo innovativo e diverso, letteralmente contrario a tutto ciò che tutti sostenevano era rifiutato nonostante i risultati evidenti che otteneva. Persino diversi professori dell’università di Bologna con i quali collaborò e confrontò i sistemi di potatura non riuscirono a capirne la portata dell’innovazione o, forse, non se la sono sentita di schierarsi contro tutto il mondo della pericoltura che loro stessi hanno contribuito a creare.

Guardando le sue piante il compianto dott. Cellini avrebbe probabilmente esclamato che sono un “inno alla fisiologia della pianta”. Una delle poche persone che ne capì e condivise le idee fu il dott. Bonora, presidente per un periodo della Camera di Commercio di Ferrara e lui stesso frutticoltore il quale addirittura scrisse un articolo nella rivista “Terra e Vita” (che non sono riuscito a ritrovare) probabilmente nell’anno 1998 dal titolo “La potatura del succhione”; accompagnò diverse visite di tecnici e agricoltori a vedere i peri potati da Cavallari, ma sempre con scarsi risultati. Tino, negli ultimi anni, a dimostrazione della sua instancabile vogli di migliorare ha introdotto una ulteriore novità nella sua potatura, anche questa contraria ai canoni conosciuti: l’accorciamento dei rami di un anno (“uno lungo, uno corto, uno via” è diventato un altro suo slogan); lo scopo è quello mantenere la produzione di frutta su legno giovane. L’accorciamento del ramo nuovo a diverse altezze causa emissione di nuovi germogli (che in qualche caso diventano brindilli coronati produttivi) e, spesso, facilita la formazione di gemme a fiore al di sotto de taglio utilizzabili per la produzione dell’anno successivo.

ALCUNI RISULTATI OTTENUTI

  • All’inizio degli anni ’90 fu chiamato da una azienda della Società Bonifiche ferraresi per una prova di potatura di un impianto di 3 anni. Il lavoro dell’azienda portava all’impiego di 8 operai su 4 file per una lunghezza di 50 metri i quali facevano “geometrie e giardinaggio con canne e legature”. Arrivato il turno di Tino fermò subito gli operai continuando da solo con i forbicioni e fece lo stesso lavoro in 2 ore contro le 16. Ma in questo caso “l’esperienza ha sbattuto il naso contro la teoria”.
  • Sempre in quel periodo fu chiamato dai tecnici di Apofruit Cesena a potare un impianto di Peri autoradicati che non producevano con la promessa da parte della proprietà che se avessero prodotto avrebbe fatto un grosso investimento in impianti di mele che alla cooperativa servivano. Il risultato fu che al secondo anno (dopo la conversione di un anno per la brachizzione delle piante con i succhioni) la produzione fu di 800 li/ha di Wiliam, 800Q.li/ha di Abate e 500 Q.li/ha di Kaiser. Quando la potatura di Cavallari non fu più eseguita la produzione calò di molto fino all’estirpazione del frutteto.
  • Chiamato alla potatura di circa 50 ettari di William autoradicata in un’azienda in Toscana dove si produceva poco e si spendeva tanto, in due anni la squadra di Tino portò la produzione da 150 a 400 q.li/ha. E le ore di potatura dalle 200 della azienda a 88 con risparmio di oltre 1000 euro a ettaro.
  • Azienda Tusini di san Prospero di Modena: arrivato con una squadra di 12 operai dopo una prova su alcune file il proprietario ha fatto smettere immediatamente i propri operai per passare alla nuova potatura proposta. E’ rimasto in azienda per 5/6 anni sempre con ottimi risultati tanto che l’azienda assunse 3 degli operai di Tino. Durante questi anni vi fu anche un confronto con un “dottore della Bayer” il quale sosteneva che la potatura di Tino era completamente sbagliata. Tino rispose che se lui era in grado di dimostrare che la sua potatura era migliore, Tino avrebbe potato gratis tutto l’inverno. Il dottore promise che lo avrebbe portato a vedere il suo sistema non si fece più vedere. Sempre nella stessa azienda venne un tecnico del Consorzio agrario anche lui esprimendo forti perplessità sulla potatura di Tino. Dopo sue anni ritornò dicendo che aveva perso una importante scommessa sul fatto che Tino non sarebbe riuscito a fare produrre piante tanto vigorose.
  • Venne chiamato in una azienda di circa 8 ettari in località Rovigo che aveva piantato Abate e Kaiser Impostò il frutteto a candelabro “ed era un capolavoro ma non era nella mia logica fare quella forma perché costava troppo ma volevo dimostrare che anche io ero capace a perdere del tempo inutile. La proprietà chiese poi se era disponibile a gestire il frutteto per tutto l’anno ma Tino era impossibilitato perché aveva il suo frutteto da gestire; così venne affittato ad un alto atesino che andò avanti per 4/5 anni. Poi cambiò l’affittuario il quale richiamò Tino perché le piante non producevano. Ci fu l’ennesima richiesta di confronto di potatura con il direttore della scuola di Malborghetto che non avversava come tutti il sistema di Cavallari; il risultato fu, ancora una volta una differenza enorme di produzione a favore di Tino.
  • La squadra di Tino viene in Romagna da 7/anni in una azienda dove sono presenti: Carmen/Ohf 40, William parte autoradicata e parte su franco, Abate/conference autoradicata. Le medie produttive di 7 anni (2015/2021) sono: Carmen=466 q. li/ha; William=655 q.li/ha; Abate=342 q.li/ha.

CONCLUSIONI

Questa storia di Tino Cavallari vuole essere la doverosa testimonianza di un personaggio straordinario che è vero che non è riuscito a convincere il mondo tecnico (si vede con quali risultati!!) ma ha dimostrato (e continua a farlo nelle aziende dove il nipote continua ad operare) che le sue intuizioni possono essere di grande aiuto al settore frutticolo più in crisi che esista oggi. Ignorare la sua esperienza sarebbe una vergognosa responsabilità del mondo tecnico e vivaistico per la definitiva scomparsa della pericoltura italiana.

  • Alberto Aldini, Agronomo di Apofruit
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