Il buon Gherardo
Racconto tratto da “Per una rinascita del Natale”
di R. Steiner Edizioni Archiati

Viveva un tempo in Sassonia, come si narra, un imperatore che si chiamava “l’imperatore rosso”, l’imperatore con la barba rossa, Ottone dalla barba rossa.
Questo imperatore aveva una sposa originaria dell’Inghilterra, che, per soddisfare le aspirazioni del suo cuore, desiderava avere una particolare fondazione ecclesiastica.
Allora Ottone il rosso decise di mettere mano alla fondazione dell’arcivescovado del Magdeburgo. Questo arcivescovado doveva svolgere una missione particolare in Europa, e precisamente quella di fare da tramite tra l’occidente e l’oriente, così che proprio da quell’arcivescovado il cristianesimo venisse diffuso tra gli slavi che vivevano oltre il confine.
L’Arcivescovado del Magdeburgo faceva grandi progressi, esercitando effetti estremamente benefici su un ampio territorio. E ottone dalla barba rossa, che vedeva quali effetti benefici aveva sul territorio la sua fondazione, se ne rallegrava assai. “Una vera benedizione nel mondo terreno sono le mie azioni”, si diceva. E desiderava sempre che Dio lo ricompensasse per le buone azioni che compiva per gli esseri umani. E questa era la sua aspirazione: ricevere la giusta ricompensa divina, dato che ciò che intraprendeva lo faceva per devozione.
Una volta era inginocchiato in chiesa e mentre, in una preghiera assurta al livello di meditazione, implorava che al momento della morte gli esseri divini lo ripagassero per ciò che aveva fondato, così com’era stato ripagato sul piano fisico dal bene sorto nel territorio dell’arcivescovato del Magdeburgo, gli apparve un essere spirituale che gli disse queste parole “E’ vero, hai fatto del bene, hai compiuto buone azioni nei confronti di molti uomini. Ma l’hai fatto con la prospettiva di ricevere la benedizione divina dopo la tua morte, così come adesso hai ricevuto quella terrena. Questo non va bene, con ciò mandi in rovina la tua fondazione.
Ora Ottone dalla barba rossa, si sentiva assai infelice mentre così conversava con l’essere spirituale, che apparteneva alla sfera degli angeli. E quell’essere gli spiegò: “Va a Colonia, là abita il buon Gherardo. Chiedi di lui e se potrai migliorare la tua anima grazie alle cose che ti dirà il buon Gherardo, allora forse potrai impedire che ti accada ciò che ti è appena stato detto.” Questo più o meno è stato il colloquio tra Ottone della barba rossa e l’essere spirituale.
L’imperatore organizzò, in un modo alquanto incomprensibile per il suo seguito, un viaggio a Colonia. Giunto in quella città, convocò non solo il borgomastro, ma anche tutti i “consiglieri saggi ed illustri” della città.
Già dall’aspetto di uno dei convenuti riconobbe che si trattava di un uomo particolare, ed in effetti era solo per lui che si era recato fin lì. Chiese all’arcivescovo che l’aveva accompagnato se quello fosse il cosiddetto “buon Gherardo”. Era proprio lui. Allora l’imperatore disse ai suoi consiglieri: “Mi volevo consultare con voi, ma prima voglio parlare segretamente con quest’uomo e poi discutere con voi ciò che avrò appreso dopo aver parlato con lui”.
Forse i consiglieri, vedendo che uno di loro era stato prescelto, erano rimasti con un palmo di naso, e coi musi lunghi, ma questo non ci interessa più di tanto. Ad ogni modo l’imperatore convocò in una stanza a parte il consigliere che a Colonia veniva chiamato il buon Gherardo e gli chiese”Come mai ti chiamano il buon Gherardo?”. Doveva fare questa domanda perché l’angelo gli aveva detto che parecchio dipendeva dal fatto che lui capisse perché quell’uomo veniva chiamato il buon Gherardo. Era infatti tramite lui che doveva essere curato nella sua anima.
Allora il buon Gherardo disse pressappoco così.: “Mi chiamano il buon Gherardo perché la gente è sconsiderata. No ho mai fatto niente di speciale! Ma ciò che ho fatto e che è davvero insignificante , che non ti voglio raccontare e non ti racconterò, si è purtroppo risaputo. E poiché la gente ha sempre bisogno di inventare parole, vengo chiamato il buon Gherardo.”
“No, no” disse l’imperatore, “non può essere così semplice la cosa! E per me ed il mio regno è estremamente importante che io sappia come mai ti chiamano il buon Gherardo.”
Il buon Gherardo non lo voleva rivelare, ma l’imperatore divenne sempre più insistente, così il buon Gherardo gli disse: “Allora ti racconterò come mai mi chiamano il buon Gherardo. Ma non lo devi raccontare a nessun altro, perché non ci vedo davvero niente di speciale.”
“Sono un semplice mercante, lo sono sempre stato, ed un giorno ho organizzato un viaggio. Dapprima ho attraversato alcune regioni per terra, poi per mare, sono arrivato in oriente, ed ho comprato moltissime stoffe preziose e molti oggetti rari, tutto il possibile, a poco prezzo. Credevo che avrei rivenduto il tutto qui o là per il doppio, il triplo, il quadruplo, il quintuplo, perché così usano fare i mercanti, questi erano i miei affari, la mia professione. Poi prosegui il viaggio per nave perché così sera necessario. Ma in mare fummo travolti da un vento sfavorevole. Non sapevamo più dove eravamo, ed io con pochi compagni venivo colpito dal vento in mare aperto, con i miei aggeggi e le mie stoffe preziose. Giungemmo ad una spiaggia , su chi si ergeva una montagna: mandammo un esploratore sulla montagna per vedere che cosa ci fosse dall’altra parte, dato che eravamo stati sbattuti sulla spiaggia.
L’esploratore vide dall’altra parte della montagna una imponente città, evidentemente una grande città commerciale. Da ogni lato arrivavano carovane passando per una serie di strade, un fiume l’attraversava. L’esploratore tornò e noi riuscimmo così a trovare la strada per attraccare con la nostra nave presso quella città.
Eravamo giunti in una città straniera. Ben preso emerse che eravamo gli unici cristiani in mezzo a pagani. Vedemmo un vivace mercato ed io pensai di potervi vendere di tutto, dato che in quella città le attività commerciali erano intense ma non sapevo come fare. Allora sulla strada mi venne incontro un uomo che mi parve degno di fiducia. Gli dissi: “Mi potresti aiutare a vendere la mia merce qui?” Evidentemente anch’io gli avevo ispirato fiducia perché mi domandò “da dove vieni?” . Gli raccontai di essere un cristiano di Colonia. Al che lui rispose “ E dire che mi sembri un brav’uomo. Fino ad oggi ho avuto una pessima idea dei cristiani , ma tu non mi sembri un mostro. Ti aiuterò e ti procurerò un alloggio. E poi mi farai dare una occhiata alla tua mercanzia.”
Pochi giorni dopo aver sistemato il mercante nell’alloggio, arrivò il pagano che aveva incontrato , questi esaminò le merci, le trovò straordinariamente preziose e disse. “In città nonostante vi sia un numero cospicuo di ricchi, non c’è nessuno che abbia denaro sufficiente per comprare queste cose, è assolutamente fuori discussione. Io qui sono il solo ad avere l’equivalente per queste merci. Se me le darai tutte io posso offrirti il loro controvalore, ma sono davvero l’unico ad averlo.”
Bene , l’uomo di Colonia voleva vedere le sue merci, raccontò all’imperatore tutto per filo e per segno.
Si, vieni da me e ti farò vedere le merci che posso offrirti in cambio delle tue, che sono davvero preziose, le più preziose del mondo.”
Quando Gherardo giunse presso il pagano, si accorse subito di aver a che fare con un uomo straordinariamente importante per quella città.
Per prima cosa l’infedele lo condusse in una stanza in cui vi erano dodici giovinetti, legati come prigionieri, macilenti, in condizioni miserabili. “Vedi” gli disse “sono dodici cristiani. Li abbiamo catturati in mare aperto, dove nuotavano senza meta. Ora ti mostrerò l’altra parte della merce”. E lo condusse in un’altra stanza , dove gli mostrò altrettanti vecchi mal ridotti. A Gherardo la vista dei vecchi fece ancora più male al cuore di quella dei ragazzi. E poi il pagano gli mostrò anche un certo numero di donne, credo quindici, anch’esse prese prigioniere. Dopo di che gli disse “Se mi dai la tua merce, io ti darò questi prigionieri. Sono molto preziosi, puoi averli.”
Gherardo, il mercante di Colonia, venne a sapere che fra le donne ce n’era una di grande valore, dato che era una principessa norvegese che aveva fatto naufragio, con le sue ancelle –poche, le altre venivano da altrove – ed era stata catturata dal pagano. Le altre erano inglesi. Anche i ragazzi e i vecchi erano inglesi, e precisamente erano partiti con il figlio del re d’Inghilterra, Guglielmo, che doveva andare a prendersi al sua promessa sposa norvegese. Al ritorno avevano fatto naufragio, e tutta la compagnia fu trascinata al largo. Il figlio del re, Guglielmo, fu separato dagli altri, e nessuno sapeva dove fosse finito. Gli altri l’avevano dato per disperso. Ma quelli che ho elencato, le donne e la figlia del re di Norvegia, i dodici nobili giovinetti dell’Inghilterra, i dodici nobili vecchi, le altre donne che erano andate a prendere la principessa di Guglielmo, quelli erano naufragati ed erano diventati prigionieri di quel principe pagano che li voleva dare a Gherardo in cambio delle sue merci orientali.
Gherardo versò molte lacrime, non per la merce, al contrario, per dover barattare un bene umano così prezioso con della merce, e concluse l’affare in base alle sue convinzioni. Il capo dei pagani era molto commosso e si diceva “Questi cristiani non sono poi dei mostri così brutti”. Gli fece preparare perfino una nave con tutti i viveri, così che Gherardo potesse portare con sé i ragazzi, i vecchi, la principessa e le fanciulle. E si accomiatò da lui con grande commozione, dicendogli “Grazie a te d’ora in poi sarò molto magnanimo nei confronti di tutti i cristiani che prenderò prigionieri”.
Il mercante Gherardo di Colonia viaggiò per mare e quando giunse al punto in cui si poteva riconoscere dove si separano le vie per Londra e per Utrecht, disse ai suoi compagni di viaggio “Quelli che appartengono all’Inghilterra vadano ora in Inghilterra. Quelli che appartengono alla Norvegia –la principessa e le sue poche ancelle – verranno con me a Colonia, dove vedrò se colui al quale era destinata questa sposa verrà a prendersela, sempre che si sia salvato e si faccia vivo”.
A Colonia Gherardo mantenne la principessa norvegese in condizioni adeguate al suo stato sociale. La famiglia si prendeva cura di lei con straordinario affetto … il buon Gherardo fece solo un piccolo accenno al fatto che sua moglie a tutta prima arricciò un po’ il naso quando lui arrivò a casa con la figlia di un re. Ma poi anche lei l’amò come una figlia…Beh sono cose che si capiscono.
La giovane fu dunque accolta come una figlia, era molto amata, ma aveva un grande dolore che risultava dal fatto che piangeva sempre per il suo innamorato, Guglielmo. Aveva infatti creduto che lui, una volta salvato, l’avrebbe cercata ovunque e infine l’avrebbe trovata. Ma lui non arrivava mai. Nel frattempo la famiglia del buon Gherardo le si era affezionata e Gherardo aveva un figlio, così pensò che quella bella figliola potesse diventare la sposa di suo figlio. Ciò era possibile, in base al modo di pensare di quei tempi, solo se il figlio di Gherardo le fosse stato pari di rango. L’arcivescovo di Colonia si dichiarò disposto a nominare cavaliere il figlio. Tutto venne fatto come si deve: Gherardo era molto ricco, andò tutto per il meglio. Si fecero dei tornei e dopo aver atteso ancora un anno che Guglielmo si facesse vivo –la principessa aveva chiesto ancora un anno di attesa -, si organizzarono le nozze.
Durante la cerimonia comparve un pellegrino con una barba così lunga, da far capire che da molto tempo il rasoio non era passato sul suo volto. Il pellegrino era molto triste. Il buon Gherardo provò pietà quando lo vide e gli chiese che cosa avesse. Il pellegrino gli rispose che era impossibile dirlo, poiché ormai doveva portare in giro per il mondo il suo dolore e da quel giorno sapeva che le sue sofferenze non sarebbero mai più state lenite.
Quel pellegrino altri non era che Guglielmo, che aveva perduto tutti i suoi compagni, era stato sbattuto su una costa, aveva vagato per il mondo come pellegrino ed era arrivato nel momento sbagliato, quando la sua promessa stava per essere data in sposa al figlio di Gherardo a Colonia. Gherardo gli disse “E’ la cosa più naturale di questo mondo che tu riceva la tua legittima sposa, parlerò con mio figlio”.
Dato che anche la sposa era più innamorata del suo perduto Guglielmo, la faccenda si mise a posto. E dopo aver festeggiato a Colonia le nozze con Guglielmo, Gherardo portò a Londra l’erede al trono d’Inghilterra con la sua sposa. Una volta arrivati, lasciò prima indietro gli altri. Era ben conosciuto come mercante, era già stato diverse volte a Londra… Entrò in città e sentì dire che c’era una grande riunione. Tutto era in subbuglio, già all’apparenza c’era un’aria di rivoluzione. Gherardo sentì dire che nel paese erano scoppiati dei disordini poiché non c’era un successore al trono. Si diceva che l’erede al trono era scomparsi da anni, che non era più tornato, che aveva dei seguaci nel paese, ma tutto il resto era in disaccordo e adesso si voleva cercare un successore al trono.
Gherardo indossò il suo abito più bello e andò alla riunione. Fu lasciato entrare, dato che indossava il suo abito migliore, che su quel ricco mercante faceva un effetto straordinariamente sfarzoso. E lì trovò ventiquattro uomini che si consultavano per decidere chi mettere sul trono al posto del loro amato Guglielmo. E vide che quei ventiquattro uomini erano i ventiquattro che aveva liberato dal capo pagano, quelli che quando le strade per Londra e Utretcht si erano divise lui aveva mandato a Londra. Essi non lo riconobbero subito, e gli raccontarono di aver perduto Guglielmo, il loro amatissimo Guglielmo. Ma poi Gherardo e gli altri si riconobbero, ed egli disse che gli avrebbe presentato il loro Guglielmo.
Così si risolse la questione. Non c’è bisogno che vi descriva la gioia che regnava in Inghilterra. Guglielmo divenne re d’Inghilterra. In un primo momento, quando ancora non sapevano chi Gherardo avrebbe portato, quando ancora non sapevano chi Gherardo avrebbe portato, ma avevano già riconosciuto in lui quello che li aveva salvati, i ventiquattro avrebbero voluto acclamare re Gherardo. Ed ora Guglielmo voleva dargli il ducato del Kent, ma lui non lo accettò. Perfino dalla nuova regina, che era stata così a lungo sua figlia adottiva, non accettò i tesori che gli voleva donare, ma solo un anello e poco altro, che volle portare a casa sua moglie in ricordo della figlia adottiva. Poi ripartì per Colonia.
“Questo è ciò che purtroppo si è risaputo nel mio ambiente”, disse il buon Gherardo a Ottone il rosso, “e per questo mi chiamano il buon Gherardo. Ma decidere se quello che ho fatto è buono o meno, non spetta agli uomini, e neppure a me. E per questo è del tutto assurdo che oggi la gente mi chami il buon Gherardo, se le parole devono avere un senso”.
Ottone il rosso, l’imperatore, ascoltò attentamente e si rese conto che c’è un altro modo di vivere rispetto a quello che aveva sviluppato lui, e che quest’altro modo di pensare si trovava addirittura presso un mercante di Colonia. La cosa lo impressionò profondamente. Ritornò alla riunione del consiglio e disse ai convenuti “Potete andare a casa, ho già appreso tutto il necessario dal buon Gherardo”. Quei consiglieri saggi e illustri rimasero ancor più con un palmo di naso, ma l’anima di Ottone il rosso aveva ormai preso una piega completamente diversa.
Così si narrava una volta la storia! Naturalmente lo storico d’oggi – che vuole semplicemente estrapolare i fatti che si svolgono sul piano fisico – critica da cima a fondo ciò che è stato appena raccontato. Ma nella concezione storica ancora dominante del quarto postatlantideo si raccontava così non solo questo episodio, ma anche il significato connesso al mondo spirituale. Si lasciava che quanto accadeva sul piano fisico si intrecciasse con il significato che lo pervade.
E non c’è dubbio che la storia di Ottone il rosso e del buon Gherardo racchiuda un significato davvero profondo!

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