I Nematodi
(Cristina Marello)

I nematodi sono diffusi in ogni ambiente del nostro pianeta e sono specializzati nella vita parassitaria non solo a carico delle piante, ma anche degli animali, annoverando tra i loro ospiti pesci, animali domestici e anche l’uomo.
I nematodi cosiddetti fitoparassiti, cioè parassiti di organismi vegetali, furono scoperti, quali responsabili di patologie a carico delle colture agrarie, relativamente tardi, cioè a partire dalla seconda metà del Settecento, ciò è da imputarsi alle loro dimensioni estremamente ridotte e alla loro capacità di indurre alla proliferazione di strutture vegetali anomale nelle quali nascondersi. I nematodi sono generalmente vermiformi con una lunghezza compresa tra 0,2 e 2 mm e un diametro inferiore ai 100 micron
Attualmente si conoscono oltre 1500 specie di nematodi fitoparassiti, il danno che causano è di tipo quantitativo e qualitativo a carico delle colture che infestano. L’azione dei nematodi si esplica a livello del suolo: i nematodi si nutrono a spese delle radici delle piante: provocano ferite con il loro stiletto causando un danno diretto a causa della lesione e a causa della saliva tossica, e aprendo la via per infezioni batteriche e fungine, inoltre molti nematodi sono vettori di virosi. Vivendo nel suolo sfuggono facilmente ad azioni di lotta diretta operate dall’uomo, inoltre possiedono una elevata resistenza alle condizioni ambientali avverse, superando senza difficoltà periodi di freddo intenso, aridità e anche assenza di piante ospiti. Sono protetti da una cuticola costituita da sette strati che offre una efficace protezione anche nei confronti di sostanze tossiche impiegate ad esempio come geodisinfestanti in agricoltura convenzionale. A questo si aggiunga poi che i sintomi dell’attacco sono aspecifici e si manifestano con quella che comunemente si definisce “stanchezza del terreno”, perciò è frequente che, al momento dell’individuazione della presenza dei nematodi, questi abbiano ormai completamente colonizzato e infestato il suolo. Seppure i nematodi non siano capaci di grandi spostamenti, se non grazie allo scambio e commercio di materiale infetto, compensano le ridotte capacità motorie con una elevatissima capacità riproduttiva che li rende in grado di colonizzare in maniera massiccia i nuovi ambienti. A seconda delle specie si possono avere una o più generazioni l’anno, anche se di norma le specie monofaghe (ad esempio Anguina tritici) ne hanno una sola. Lo sviluppo da uovo a stadio adulto impiega da 3 a 4 settimane e la femmina adulta è in grado di deporre 500-600 uova, scalarmente, nel corso del suo ciclo vitale. Ciò significa che in un terreno, o su una pianta infestata, si possono trovare tutti gli stadi di sviluppo contemporaneamente.
I nematodi sono in grado di mettere in atto molte strategie per far fronte e superare le situazioni critiche. Ad esempio possono riprodursi per partenogenesi (senza l’intervento dell’individuo maschile), accelerando così la colonizzazione di un nuovo ambiente ma, quando la densità di popolazione si fa molto elevata o l’ambiente si rende ostile ecco aumentare la presenza di maschi e di conseguenza il rimescolamento genetico che aumenta considerevolmente le chanche di sopravvivenza del pool genetico della specie stessa. In caso di condizioni sfavorevoli le larve possono rallentare il loro ciclo di sviluppo fino a raddoppiarne il tempo, se necessario, o addirittura interromperlo trasformandosi in cisti. Le cisti sono forme larvali che entrano in quiescenza e inspessiscono e irrobustiscono la loro cuticola: se i nematodi in fase attiva muoiono a temperature intorno ai 40-42°c, le cisti resistono anche a 70°c. Anche le femmine adulte possono incistarsi, in tal caso esse si trasformano in una cuticola di protezione per le loro uova che rimangono vitali ma quiescenti anche per più di un anno, in attesa del ripresentarsi di situazioni più favorevoli. Altro sistema di sopravvivenza che i nematodi possono attuare è l’aggregazione: centinaia di nematodi si avvolgono strettamente gli uni con gli altri in formazioni piuttosto grandi, visibili anche a occhio nudo dove gli individui posti al centro riescono a sopravvivere grazie alla protezione offerta loro dagli individui più esterni.
Per i loro spostamenti nel suolo i nematodi necessitano di un velo di umidità tra le particelle e comunque, in assenza di movimenti di terra, riescono a colonizzare uno spazio di circa un metro di raggio in un anno. I loro spostamenti sono guidati dalla percezione degli essudati radicali delle piante ospiti ma i nematodi sono in grado di percepirli solo quando si trovato a una distanza massima di 2-3 cm dalla fonte di emissione. L’essudato radicale è inoltre fattore essenziale per la continuità dei cicli in quanto è la sua presenza a indurre alla schiusura delle uova.
Tutte le caratteristiche finora illustrate lasciano intuire perché le infestazioni di nematodi avvengano con lentezza e abbiano di norma una lenta ma inesorabile espansione a macchia d’olio nei campi e nei terreni coltivati.
La loro lenta capacità di diffusione, ma anche la loro grandissima resistenza ai mezzi di lotta attuabili nel terreno fornisce già utili indicazioni sulle strategie di difesa efficaci.
Pur sembrando il solito banale consiglio la prima strategia di lotta contro i nematodi è un razionale piano di rotazione, non per niente i primi gravi attacchi di nematodi si registrano con l’impulso innovatore dell’800 che in agricoltura portò all’abbandono delle tradizionali tecniche di avvicendamento e del maggese a favore della monocoltura. Fu proprio nel 1870 che si riuscì a identificare per la prima volta il nematode della barbabietola Heterodera schachtii i cui attacchi distruttivi in Germania costrinsero all’abbandono della coltura e alla chiusura degli zuccherifici con drammatiche conseguenze per le famiglie degli operai di quegli stabilimenti.
L’identificazione dell’agente di malattia è sicuramente un’informazione utile per impostare una razionale difesa ma può anche essere la scusa ideale, il capro espiatorio per evitare di mettere in discussione l’intero sistema di coltivazione e concentrarsi invece sulla distruzione con mezzi di sintesi del nematode imputato del danno.
L’insorgenza di attacchi di nematodi sono riconducibili all’impiego di materiale già infetto (tuberi, bulbi, talee, semi,…) e più frequentemente all’impoverimento del suolo dovuto all’abbandono delle rotazioni e alla distruzione della sostanza organica. Numerosa bibliografia conferma che l’elevata presenza di sostanza organica riduce il numero di nematodi fitoparassiti. Ciò è da mettersi in relazione all’effetto ammendante dei colloidi sulla struttura e tenacità del suolo e alla presenza di composti liberati dalla sostanza organica in decomposizione che hanno un effetto tossico sui nematodi stessi. Molte piante spontanee emettono essudati radicali tossici nei confronti di numerose specie di nematodi fitoparassiti ( Rotylenchus, Pratylenchus, Paratylenchus,…) di colture agrarie, possono anche svolgere un’azione schermante ostacolando con i propri essudati la percezione di quelli delle piante ospiti da parte dei nematodi stessi siano essi a livello di uovo (e quindi ostacolandone la schiusura) o di larva impedendole la localizzazione della sua fonte alimentare. La presenza di molti apparati radicali differenti appartenenti a specie e famiglie diverse è quindi in generale uno svantaggio per i nematodi e ciò fa ben pensare che le pratiche dell’inerbimento, del sovescio, degli erbai intercalari e della consociazione, siano un efficace metodo di contenimento del proliferare di questo parassita nei suoli coltivati.
Non è pensabile l’eradicazione dei nematodi dal suolo, per riuscire in tale impresa si dovrebbero adottare metodi e tecniche tali da creare il cosiddetto vuoto biologico, vista la notevole resistenza a fattori di aggressione esterna di questi organismi. Esistono però soglie di tolleranza, ovvero una presenza accettabile che non causa alla coltura un danno apprezzabile. In realtà i sintomi dell’attacco di nematodi sono aspecifici e spesso assimilati a situazioni di generale stanchezza del terreno o indebolimento della coltura: molte pratiche attuate per far fronte alla stanchezza del suolo sono poi le stesse che andrebbero a contrastare i nematodi stessi (ampliare le rotazioni, inserire colture miglioratrici e sovesci, apportare letame,…).
Riguardo alle piante nematocide ricordiamo: Tagetes patula, Tagetes erecta, Asparagus officinalis, Lantana camara, Crotalaria spectabilis, e alcune essenze da sovescio ad azione repellente quali il rafano, la Brassica napus e la senape. La tecnica del sovescio, come anche la consociazione o l’inerbimento temporaneo svolgono una buona azione nel contenimento dei nematodi, a patto che la permanenza delle piante copra almeno un arco di 2-4 mesi. Questo va ricordato perché nella pratica intensiva, tenere il terreno fermo per tanto tempo può incidere pesantemente sul bilancio aziendale. Ma cercare compromessi quali apportare la massa vegetale coltivata altrove, o impiegare essenze erbacee nematocide pellettate non può essere paragonata alla permanenza della coltura vera e propria nel suolo da bonificare.
Di marginale interesse è l’uso di piante trappola per la distruzione massale dei nematodi. Alcune piante sono particolarmente appetite dai nematodi perciò la tecnica consisterebbe nel seminare tali piante e poi estirparle quando i nematodi siano penetrati nelle loro radici e distruggerle. Vista la difficoltà nel monitorare i nematodi e seguirne e il ciclo di sviluppo, spesso sfasato con sovrapposizioni di cicli e generazioni, questa tecnica comporta più rischi che vantaggi. Altro discorso è usare queste piante attrattive per monitoraggio, ad esempio la pianta spontanea Solanum nigrum è fortemente attrattiva per Globodera rostochiensis e Heterodera schachtii: effettuare periodicamente controlli sulle radici di Solanum nigrum può consentire una valutazione costante della soglia di infestazione

I nematodi contano parecchi nemici naturali: funghi, batteri, insetti, altri nematodi, virus,… Quanto più il terreno è fertile e vitale e ricco di sostanza organica quanto più le popolazioni di questi organismi utili saranno presenti e attive nel contenere il dilagare di nematodi fitoparassiti. Tra i funghi maggiormente attivi contro nematodi fitoparassiti ricordiamo: Artrobotrys oligospora, Dactylella lysipaga, Dactylaria candida, Phialophora heteroderae, Harposporium sp.p… Alcuni di questi sono parassiti obbligati, altri invece vivono e colonizzano il suolo come saprofiti ma possono trasformarsi in attivi predatori di nematodi quando se ne manifesti l’opportunità. Particolarmente curiosi, questi funghi sono in grado di costruire vere e proprie trappole con le proprie ife, predisponendo una sorta di cappio nel quale intrappolano e catturano i nematodi. Molte biofabbriche hanno messo a punto preparati a base di funghi nematoparassiti acquistabili su lmercato e impiegabili in azienda. Il loro impiego è comunque da considerarsi utile se integrato in una strategia più ampia e a lungo termine che preveda tutti quegli accorgimenti finora elencati, compresa la scelta e l’impiego di varietà resistenti e tolleranti o addirittura l’innesto di varietà di pregio ma estremamente sensibili su piante resistenti. D’altronde impiegare organismi utili di origine tellurica va considerato come una sorta di ricolonizzazione del suolo e questo può avvenire solo se oltre a immettere gli organismi si creano le condizioni favorevoli al loro insediamento permanente. Ricordiamo comunque che si tratta soltanto di selezioni di ceppi di organismi naturalmente presenti nei suoli agrari, certo sarebbe meglio ripristinare i ceppi indigeni ma quando la situazione è oltremodo compromessa non restano molte scelte.
Meccanismi di difesa che prevedano la sterilizzazione del suolo, sia con mezzi di sintesi che con mezzi fisici (calore secco o umido) non si possono mai dire completamente efficaci perché: creano un vuoto biologico dove l’eventuale introduzione accidentale di un solo o pochi individui parassiti potrebbero proliferare indisturbati; i meccanismi di resistenza dei nematodi sono tali e tanti da non garantire la completa distruzione di tutti gli individui presenti.
L’impiego di macerati, infusi, decotti o altri rimedi da spruzzo possono agire schermando la coltura ospite ma la loro applicazione nel suolo è difficoltosa richiedendo grandi volumi d’acqua e applicazioni ripetute frequentemente. E’ possibile effettuare bagni di radice sulle colture all’atto del trapianto con macerati di valeriana o camomilla, ma anche questi hanno un effetto molto limitato nel tempo.
La vera lotta ai nematodi è di tipo preventivo e passa in primo luogo dal ripristino di una buona fertilità organica e vitalità del suolo agrario. Soltanto in questo modo le popolazioni microrganiche indigene del suolo possono agire da controllo e contenimento delle popolazioni di fitoparassiti. Estrema attenzione va poi fatta alla sanità del materiale di moltiplicazione che si impiega. Discreta utilità per piccole partite di bulbi e semi può avere la concia umida in acqua calda, ricordando però che se le forme attive di nematodi vengono inattivate da un moderato calore, le cisti sopravvivono anche oltre i 70°c.
Tale resistenza delle cisti pone un’ulteriore questione: i residui colturali possono essere gettati nel cumulo? Se esiste la concreta possibilità che il materiale vegetale sia infestato da nematodi è sempre meglio distruggerlo separatamente. Le temperature che un cumulo in fase di compostaggio sviluppa non sono tali da garantire la distruzione delle cisti. E’ però vero che l’intensa attività microrganica ed enzimatica che si svolge nel cumulo è tale da costituire un attacco notevole ai nematodi, sia di ordine chimico (i composti ammoniacali e

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nitrici sono fortemente litici nei confronti delle cuticole delle cisti) sia di ordine predatorio e parassitario. Per cui è vero che il cumulo ha un potenziale altamente distruttivo nei confronti dei nematodi fitoparassiti ma è anche vero che il compostaggio non è una scienza esatta, non sempre i processi enzimatici procedono in maniera ottimale e non tutte le parti del cumulo si riscaldano alla stessa maniera.
L’importanza del cumulo però non è da vedersi come una sorta di trattamento dei residui pericolosi, come una sorta di digestore nel quale smaltire ogni cosa, ma come uno strumento fondamentale per incrementare e mantenere la fertilità e la vitalità del suolo stesso.
L’impiego di varietà tolleranti o resistenti è un’alternativa valida purchè non se ne abusi. Infatti l’impiego di ibridi resistenti sottopone i nematodi a una pressione di selezione che induce nel tempo, al superamento delle resistenze. L’impiego di ibridi tolleranti è per certi versi anche peggio perché le piante, pur non manifestando sintomi violenti per l’attacco, forniscono comunque sostentamento e nutrimento alle popolazioni di nematodi (cosa che non fanno gli ibridi resistenti) che continuano quindi a proliferare e ad aumentare esponenzialmente, stagione dopo stagione.
In conclusione ritengo che i principi dell’agricoltura biodinamica che pongono la pianta quale antenna e punto di incontro e congiunzione tra Cielo e Terra, siano la risposta più efficace al problema dei nematodi fitoparassiti. Le forze celesti di formazione, sviluppo e maturità quale contrappeso a un organismo profondamente terrestre e freddo, possono influire fortemente sulla suscettibilità delle colture agrarie; l’applicazione del 500, del 500p, del fladen, l’allestimento e impiego del cumulo, la pratica dei sovesci, svolgono un’azione fondamentale della rivitalizzazione del suolo e abbiamo visto quanto questa sia importante per contrastare il sopravvento di popolazioni fitoparassite. Ma in fondo non ci si può arrogare il diritto di chiamare propria una tecnica piuttosto che un’altra e le etichette alla fine non sono altro che etichette e l’unica differenza davvero reale è quella tra buona e cattiva agricoltura.

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