L’uomo moderno deve apprendere nuovamente il giubilo pasquale al quale seppero abbandonarsi con tanta felicità i suoi simili nelle epoche più antiche. La grande parabola della natura primaverile che si sveglia non gli parla attraverso un linguaggio chiaro e forte, e non può nemmeno rallegrarsi spontaneamente di un evento sopravvenuto duemila anni fa, per quanto grande fu il miracolo. L’Atto di Consacrazione dell’Uomo parla a Pasqua dell’esultanza gioiosa che riempie le altezze. Ma il risveglio naturale della primavera non è ancora questo canto di lode gioiosa che la Natura intonerà un giorno per celebrare la resurrezione del Cristo. Il rinnovamento della vita a primavera esisteva già nella natura terrestre prima dell’evento cristico, ma non era allora che una profezia piena d’attesa. Questo rinnovamento è diventato oggi la celebrazione di un effettivo compimento realizzato?
La Natura non può esultare di gioia per un fatto storico; essa attende una forza che agisca nel presente immediato. Il mistero di Pasqua non è ancora all’opera nella natura della primavera. La natura attende l’essere umano. Le parole evocanti l’esultanza e la luce nel soffio della terra sono seguite nell’Atto di Consacrazione dell’uomo dalla frase che ne esprime la condizione: bisogna che prima il Cristo abbia penetrato nella pulsione di vita gioiosa dell’essere umano. L’esultanza della materia non è in sé che una speranza profetica. L’esultanza pasquale sentita dall’essere umano nel quale il Risorto ha preso dimora è la sola a portare realmente alla sua plenitudine l’esultanza della natura. L’uomo apprende l’esultanza pasquale alla scuola del cristianesimo di Paolo. La frase: “Vivo, tuttavia non io, ma è il Cristo che vive in me” è la chiave del mistero di Pasqua. Nelle nostre anime, bisogna che viva non solo l’idea della resurrezione del Cristo, ma il Cristo stesso, e ciò in modo che Egli resusciti continuamente in noi. La creazione allora lo noterà e l’esultanza dell’uomo provocherà l’Inno di gioia di questa creazione, anche se l’uomo esteriormente reca sempre più offesa alla natura e la deturpa. E’ nell’essere umano che comincia la resurrezione del mondo.
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“Ecco l’Uomo!”. Questa frase risuona, che le orecchie umane la percepiscano o meno, nel corso delle stazioni del Vangelo che portano alla festa di Pasqua.
E’ primo fra tutti Pilato che la pronuncia, quando fa apparire davanti alla folla ruggente Colui che è appena stato fustigato a sangue, che porta la corona di spine e il mantello purpureo della derisione. Di fronte a Colui che è più reale di un re, dobbiamo riconoscere che l’uomo è un re decaduto. Queste parole risuonano di nuovo dalle tre croci innalzate sul Golgotha nelle tenebre di mezzogiorno. Sì, davanti ad una delle croci dei ladroni possiamo ascoltare che ci viene detto: “Sei tu!”. Siamo oppressi dalla nostra colpa e, in questi ladroni in croce, ci riconosciamo. Ma è davanti alla croce di mezzo che queste parole acquistano la loro piena portata : “Ecco l’Uomo!”. E dirigendosi verso di noi, dicono ancora : “Sei anche tu!”. Com’è possibile ciò? La croce della colpa porta l’essere più innocente che ci sia al mondo. Come posso rapportare questa scena a me stesso? E’ Christian Morgenstern che ce lo insegna:
“Ho visto l’Uomo nella sua forma più profonda.
Conosco il mondo fin nelle sue fondamenta.
So che l’Amore, l’Amore è il suo senso più profondo,
E che sono qui per amare sempre e comunque.
Sento le braccia come Egli le ha tese,
Vorrei, come Lui, abbracciare il mondo intero.”
E’ allora che i racconti di Pasqua si illuminano. Anche di fronte alla figura del Risorto, dobbiamo alzarci per sentire queste parole e rapportarle a noi : “Ecco l’Uomo!”. Non è un miracolo al quale assistiamo qui, un avvenimento decisamente strano dove un uomo si sarebbe alzato nella tomba in cui era stato deposto. Vediamo qui realizzato il destino di ogni uomo. Lo scopo davanti al quale ci tiriamo indietro troppo facilmente, scoraggiati, è qui raggiunto: l’Uomo-Spirito. E’ il Risorto. Come troviamo il cammino per realizzare in noi l’umanità che ci guarda qui nella sua altezza pasquale? Noi, esseri umani, sentiamo la nostra impotenza. A che punto siamo senza potere, davanti al nostro ambiente fisico! Siamo solamente capaci di distruggerlo. E’ perché noi abbiamo imparato oggi a distruggerlo su così grande scala che abbiamo l’illusione del potere. Ma non è che un potere apparente dell’uomo sulla materia: egli non sa nemmeno ciò che fa suscitando esplosioni super “magiche”. Non può creare nulla di vivente, di animato. Malattia e morte regnano su di lui. Non può agire da sapiente qui o là, ma alla fine si abbandona alla tirannia della morte. Perchè siamo così impotenti? Perchè la parte di spirito dell’essere umano che fluttua sopra di noi non interviene. Come uomini terrestri, in primo luogo non siamo altro che un frammento, un recipiente vuoto. Non abitiamo ancora totalmente, con il nostro essere più autentico, i nostri involucri corporei. Come lo spirito che non è negli involucri potrebbe quindi agire su questi e, attraverso di essi, sul mondo fisico circostante? Viviamo in una casa terrestre abbandonata dallo spirito. La nostra esistenza umana terrestre è un tempio profanato. Il dogma dell’anno 869, secondo il quale l’essere umano si compone solo di un’anima e di un corpo, descrive nei fatti l’essere umano così com’è ancora. Ma è qui che si trovano allo stesso tempo la non-veracità e la non-credibilità di questo dogma. L’uomo non si compone solamente di un corpo e di un’anima, ma anche di quest’essere brillante che è chiamato a dimorare in questi involucri e vi dimora già in germe. Nella misura in cui egli fa la propria entrata, questo vero “Io” spirituale dell’essere umano può trasformarne gli involucri. L’ “Io” può, non solamente mettere l’anima in ordine e armonizzarla, ma anche renderla trasparente; dispensa la pace all’interno e l’amore all’esterno. L’anima spiritualizzata comincia ad irradiare in modo sublime. Quando il nucleo spirituale dell’essere umano si appropria degli involucri, penetra finalmente, al di là della nostra anima, il nostro corpo e il nostro sangue, il nostro sangue portatore di della nostra vita. Anima, vita e corpo possono essere illuminati dall’interno e trasformati; ma la maledizione dell’allontanamento di Dio, del peccato, pesa ancora sull’essere umano. Il senso del dramma cristico, dalla condivisione della natura umana fino alla resurrezione, è che nel tempio profanato, nel recipiente vuoto ed impuro è entrato un “Io” superiore, l’“Io” dell’umanità. Il corpo di un uomo è divenuto il teatro di una grande metamorfosi drammatica. In nome di tutti gli uomini, lo spirito si appropriò interiormente della forma umana e la riempì totalmente. Un fuoco sacro bruciò durante i tre anni della vita del Cristo. Attraverso di lui, gli involucri terrestri, anima, vita e corpo, furono attraversati da parte a parte dall’ardore di questo fuoco, e si fusero. Il sangue che colò in seguito dalle piaghe del Crocifisso era la vita spiritualizzata; era lo spirito di vita, la vita eterna. E il corpo che fu deposto nella tomba di Giuseppe d’Arimatea non era infine altro che il simbolo esteriore di un corpo spirituale, dell’involucro corporale interamente trasformato dal fuoco dello spirito, dell’Uomo Spirito stesso. Ciò che si è svolto nel dramma della vita del Cristo, l’entrata nell’umanità, la morte sul Golgotha e la resurrezione, fu il compimento dell’essere umano, per la prima volta in tutta la sua grandezza. Colui che si levava dalla tomba fu il primo uomo perfetto. Nell’uomo Gesù di Nazareth, si realizzò con una maestosità senza uguali la frase che Paolo fece passare ai posteri: “Non io, ma il Cristo in me”. Era la prima entrata del Cristo in un essere umano, ma allo stesso tempo la più perfetta. A partire da questo momento, tutto l’essere umano può diventare dimora del Cristo. Non è un “Io” sconosciuto, che entra allora nell’uomo e lo trasforma. E’solo a partire da questo momento che è veramente se stesso, perché l’”Io” del Cristo è l’”Io” Superiore di tutti gli uomini. Quando il Cristo prende dimora in un uomo, sveglia i germi dell’Uomo-spirito dormiente. L’“Io” del Cristo aiuta il nostro vero proprio “Io” ad incarnarsi e ad intervenire, ad operare per la spiritualizzazione di tutto il nostro essere, in modo che facciamo esperienza del mistero della resurrezione. Solo colui che porta il Cristo inizia ad agire nella spiritualizzazione di tutto il proprio essere, in modo che facciamo l’esperienza della resurrezione. Solo colui che porta il Cristo comincia a diventare uomo completo. Se il Cristo non dimora in lui, l’uomo resterà sempre un frammento. E’ solo attraverso il Cristo che il nostro spirito prende dimora in noi. Questa entrata, se è autentica, non può in alcun caso avere per corollario un’attitudine passiva. Essa significa attività estremamente profonda, simile al fuoco, alla parte più intima del nostro essere. Paolo non dice che noi moriamo e resuscitiamo attraverso il Cristo: noi dobbiamo attraversare con lui la morte e la resurrezione. C’è qui un’allusione all’alleanza che il Cristo stringe in noi con il nostro vero Io. Egli rende il nostro spirito la fiamma del fuoco che ottiene la vittoria della Pasqua sulla morte. Con la forza caritatevole del Risorto, possiamo, anche se all’inizio in modo quasi impercettibile, molto discretamente, agire sui nostri involucri per trasformarli dall’interno. E, in particolare durante il tempo di Pasqua, ci è permesso di introdurci nella sfera della metamorfosi, che è il mondo della corporeità spirituale.
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L’Atto di Consacrazione dell’uomo parla tre volte di esultanza. La natura può esultare di gioia se nell’uomo, attraverso l’azione pasquale del Cristo, la pulsazione di vita più intima comincia a esultare di gioia. Alla fine, risuona a sua volta il canto di lode della “forza guaritrice che esulta”, che emana delle pulsazioni dal cuore riscaldato dal Cristo. Scopre di essere un medico, che guarisce il mondo con la gioia del giubilo pasquale. E’ l’uomo di Pasqua in noi. Ha un bell’essere fragile all’inizio, allo stato germinale: nel bozzolo si muove la farfalla. Un giorno, romperà il suo involucro e dispiegherà le sue ali. Quando la farfalla uscirà, l’umanità la cui anima si è impoverita avrà ritrovato la pura gioia di Pasqua.
Emil Bock
1895-1959
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