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L’elemento scientifico-spirituale delle Viole

“Tutti assumono sembianti simili e nessuno assomiglia all’altro, e così il coro accenna a una legge segreta.” Goethe
Seguendo questa indicazione di Goethe tenteremo di dirigere lo sguardo sul “coro” delle Violacee per incontrare la “legge segreta”, quella totalità che si manifesta nelle singole specie di viole.
Le Violacee sono state catalogate da Alfred Usteri come la settima classe vegetale, quella delle Metaclamidi. Assieme alle famiglie delle Trigoniacee, Balsaminacee, Dicapetalacee, Vochisiacee, Tropeolacee e Poligolacee, formano il quarto ordine intermedio delle “Trigoniali” attribuito a Marte. E di nuovo al quarto posto di tale ordine, nella posizione di Marte, ci sono le Violacee.
L’elemento caratteristico delle viole è la forma dei loro fiori. Fiori dalle forme simili si trovano percorrendo gli ordini di Marte delle differenti classi vegetali. Nelle Archiclamidee, piante dicotiledoni, allo stesso posto si trovano le specie di ippocastano; nelle Monocotiledoni, le Orchidacee; nell’ordine delle Ramnali, le Papilionacee; nell’ordine delle Proranali, le Papaveracee, tra le quali si trovano pure fiori simili alle viole. Solo la classe inferiore, attribuita a Saturno (le Gimnosperme), si trova coi suoi fiori a un livello talmente primitivo da non poter produrre forme tanto perfette quali quelle che descriveremo ora analizzando le sei classi superiori e i loro ordini sulla base di sei esempi. Si mettano immaginativamente a confronto i fiori del coridale a quelli del pisello, i fiori dell’orchidea a quelli dell’ippocastano e della viola di marzo: si capirà ciò che s’intende dire. Tutti gli esempi tratti da classi tanto diverse tra di loro presentano “fiori-animali”, unilateralmente simmetrici, che si allungano in orizzontale. A ragione li si può definire così dato che sono delle controforme dei corpi degli insetti che volano a loro, cercando nettare e raccogliendo polline. In essi si esprime la caratteristica del mondo vegetale e di quello animale di essere fatti l’uno assieme all’altro e l’uno per l’altro, l’adesione dei principi della forma vegetale a quelli della forma animale; per cui l’asse principale di crescita vegetale, verticale, inclinandosi, entra nell’asse di crescita animale, orizzontale.
Tra gli esempi appena citati di “tratti floreali-animali” presenti nelle classi vegetali, manca un esempio tratto dalla “classe di Mercurio”, quella delle Aclamidee. In questa classe che vive tanto intensamente la fioritura nel vento, il fiore zigomorfo (detto di fiore non raggiato nel quale la divisione in due metà specularmente eguali è possibile con un solo piano di simmetria, è molto raro. Solo nell’ordine di Marte e al quarto posto, quello di Marte appunto, si trovano come nelle quillaie (Sapindacee) per lo più fiori obliquamente simmetrici, zigomorfi. Dato che si tratta di una famiglia tropicale, non ci si è dilungati in esempi; dovrebbero infatti venire citate piante sconosciute alla maggior parte dei lettori.
La somiglianza delle forme che si manifesta con tali “tratti floreali-vegetali” allo stesso posto e in sei classi, non ha nulla a che vedere coi soliti rapporti di parentela genetici. Essa interessa famiglie di piante che non si sono minimamente differenziate evolvendosi e che non sono neppure in qualche modo parenti nel senso comune del termine. In simili rapporti, sulle cause solitamente considerate, prende il sopravvento un principio molto più universale. In tali piante non si manifesta un albero genealogico, ma un ordine cosmico primordiale.
Un ordine così articolato, che comprende il livello minerale dell’esistenza, si riflette da livelli più profondi rispetto al cosiddetto sistema periodico degli elementi. Ad esso, a livello dell’essere vegetale, il sistema di Usteri contrappone il “Sistema periodico delle Fanerogame”.
Stiamo parlando in un’eccezione particolare di Marte, il terzo pianeta soprasolare degli antichi, nella misura in cui in esso riecheggia il terzo livello dell’evoluzione globale della terra, quello dell’”antica Luna” nell’accezione della ricerca scientifico-spirituale di Rudolf Steiner.
Ci sia qui consentito ricordare che l’”antica Luna” ha sviluppato solo tre regni della natura: un posto tra l’attuale regno minerale e vegetale, uno tra il regno animale e quello vegetale e uno tra il regno animale e quello umano. Successivamente, nel corso dell’effettiva formazione della terra, il secondo regno della natura di quell’antico mondo lunare si è scomposto e il frutto di tale divisione ha continuato ad evolversi così che, da un lato si è formato l’attuale mondo vegetale e dall’altro quello animale. Tuttavia, come a ricordo di quell’origine, sono rimasti i molteplici rapporti tra piante e animali, un accordo e una reciprocità tra i due regni che si manifestano in modo sempre nuovo.
Alla ricerca scientifico-spirituale emerge un’altra forma di accordo e reciprocità, quella esistente tra l’attuale mondo minerale e quello vegetale. Giacchè anche le svariate relazioni esistenti tra minerali e piante possono venire ricondotte all’antica Luna in cui tale duplicità era ancora un’unità.
Per tornare alla viola, la sua struttura, sia spaziale che temporale, può venire compresa solo vedendo in essa l’espressione di una duplicità. Questo mondo vegetale si comporta in modo ben preciso rispetto al regno naturale ad esso inferiore e a quello ad esso superiore. Lo dimostra la sua formazione di radice da un canto e di fiori dall’altro. Ciò emergerà in tutta la sua importanza in successivi passi, quando esso verrà rapportato a certe dichiarazioni di Rudolf Steiner sulla natura delle viole.
Va però detto ancora qualcosa in merito al concetto di “struttura”. Con essa non s’intende solo ciò che si presenta, tangibile, alla vista. La pianta ci insegna a vedere, in ciò che è strutturato, ciò che sta strutturando, non solo tramite i sensi, ma anche tramite gli occhi dello spirito, dato che la forma spaziale si trasforma continuamente. Ciò consente di fare l’esperienza della struttura temporale come di una forma ulteriore. Tuttavia, ciò che si manifesta come struttura spaziale e opera al suo interno, è sempre spirito; spirito come opera, spirito come attività. Dietro all’elemento attivo, alle forze che agiscono, ci sono in azione delle entità; dalle entità elementari a quelle che hanno pensato creativamente l’elemento proprio del mondo vegetale, l’elemento vegetale originario. Per poter avere una vera immagine dell’essenza delle viole bisogna considerare tutto ciò assieme.
Dopo avere esposto indicativamente quanto sopra, torniamo ora ad occuparci più da vicino della famiglia delle Violacee, con 16 generi e 850 specie diverse.
Il genere Viola è il più importante, comprendendo da solo ben 400 specie. Per lo più si tratta di piante erbacee, alcune arbustive, che fioriscono in primavera e crescono diffusamente nelle zone temperate settentrionali. Alcuni generi hanno scelto come habitat i Tropici e le regioni subtropicali; parliamo di piante che significano: cespugli, cespugli rampicanti, addirittura alberi. Tuttavia i generi tropicali, per lo più boschivi, sono poveri di specie, così come i generi del continente meridionale. Il genere Viola, invece, si è sviluppato in molte specie tramite le quali si è intimamente legato alla terra in tutte le sue molteplici qualità del terreno e aspetto del paesaggio. Bosco e sottobosco, foreste, prati; rive di ruscelli, prati rivieraschi, paludi, acquitrini; dune, terreni sabbiosi, detriti calcarei; cime, contrafforti, alta montagna; tutti hanno le loro specie di viole. Persino i terreni ricchi di calamina del Belgio e della Germania hanno la loro specie particolare, la viola calamina (meglio nota come Pensée calamina). Tutte queste specie si assomigliano molto. Si differenziano solo per finezza di radice, per la struttura del pollone e della foglia. Persino un osservatore pratico solo di viole europee riconoscerebbe a prima vista una viola, ad esempio neozelandese. Le cose andrebbero diversamente alla vista di una Violacea significata, due delle quali descriveremo brevemente, esse pure neozelandesi.
Una soltanto delle sei specie del genere Imenantera, la cosiddetta Ymenanthera crassifolia, “dalle foglie carnose”, sviluppa un cespuglio dalla corteccia bianca, basso, spesso gonfio come un cuscino, coi rami rigidi e spinosi, che si abbarbica su rocce o sassi. Cresce in prossimità del mare e dalle coste sale sino a 700 metri sopra il livello del mare. I piccoli fiori delle viole, lunghi, tubiformi, actinomorfi che si sviluppano a primavera, e poi le relative bacche, rossastre o bianche, simili per dimensioni al ribes, si nascondono sotto i cespugli. La seconda Violacea lignea che presenteremo di seguito, il Melicytus ramiflorus, appartiene al genere Melicitus, che comprende solo 4 specie. Essa cresce sia sulle isole settentrionali che su quelle meridionali in piccoli cespugli che possono arrivare nella macchia a svilupparsi con alberi di 10 metri di altezza. Dai tronchi sottili che si ergono diritti e sembrano calca rizzati a causa del colore dei funghi che ne colpiscono la corteccia, essa si allunga in brevi rami dal legno fragile e culmina in una corona circolare. Il tronco è circondato da numerosi polloni che spuntano dall’apparato radicale diramato. I piccoli fiori a forma di tubo allungato spuntano in pennacchi al di sotto delle foglie, direttamente sul ramo nudo, maschile e femminile su alberi diversi. I frutti sono bacche violette dai semi spigolosi e neri, cibo preferito dei colombi selvatici. Un tempo il legno serviva ai Maori da acciarino.
Ma torniamo al genere Viola, accanto al quale tutti gli altri retrocedono per la sua importanza, e diamo particolare risalto a due specie, visto che sono quelle che, sin dall’antichità, sono state usate in fitoterapia.
Si è già osservato che le specie di viole hanno un forte rapporto con l’elemento terrestre, ctonio, col quale si connettono intimamente e più volte tramite radici, rizomi, stoloni. Ciò consente loro di moltiplicarsi facilmente in modo vegetativo e di diffondersi all’intorno. Restano modestamente a terra. Il prototipo, la “viola archetipica”, accarezza solo vagamente la possibilità di non restare una viola di terra, di far spuntare foglie e fiori direttamente dal rizoma e di formare, a scapito delle forze vitali che presiedono allo sviluppo delle radici, un germoglio che dal terreno, se pur sempre moderatamente, eleva foglie e fiori e li fa crescere in altezza. Nel terrestre resta la viola mammola, mentre si estendono in altezza la viola di bosco, la viola canina (o viola inodora) e persino la viola del pensiero.
I Greci devono essere riusciti a cogliere questo aspetto delle viole, volto verso la terra, se ne hanno consacrato a Persefone il fiore, fiore che essi recepivano come nero; parlavano, infatti, dei capelli dal colore delle viole dei loro eroi dai riccioli neri. Le viole erano sacre anche alle divinità della casa, che erano circoscritte dalla casa terrena e dall’elemento terreno degli esseri umani, ma non alle divinità olimpiche. La ninfa Dafne, durante la fuga da Apollo, dio del Sole, che la inseguiva, si trasformò in alloro; ma la figlia di Atlante, il gigante terreno che sostiene la volta celeste, si trasformò in viola.
Si è ora dato sufficiente risalto a ciò che collega la viola alla terra, al regno minerale sottostante. Ma ciò rivela solo mezza verità. Giacchè questa creatura del suolo si immerge in un processo di fioritura tanto intenso e tanto spiccato da costringere, per cogliere l’intera verità, a prendere in considerazione il regno che si trova al di sopra della sua essenza vegetale. Forma, portamento, movimenti di crescita, colore, profumo, tutto in questo fiore si volge all’elemento animale, ne viene sfiorato, afferrato, trova in esso il suo completamento… se pur sempre in modo adeguato alla sua essenza. Gli animali fisici che si dispongono a ciò, api, farfalle, formiche, sono allora le ovvie operatrici di questo incontro di essenze che ha luogo tra l’essenza eterica della pianta e la sfera astrale che la circonda. Si seguano le singole fasi in cui si manifesta tale confronto. Prima il gambo del fiore eretto inclina, con elegante flessione verso terra, i boccioli che reca in cima. Il fiore che si schiude, invece, sceglie l’orizzontale, assieme agli accoglienti petali anteriori e allo sperone che si protende all’indietro, dà origine alla controforma dell’insetto che le vola incontro e sperimenta il proprio compimento: per un momento è al contempo pianta e animale, pianta-animale, come era sull’antica Luna. L’elemento nutriente scorre in una direzione, quello fecondante va ad incontrarlo; gli elementi dell’acqua, dell’aria e del fuoco si incontrano, poi l’insetto carico di polline si dilegua e il fiore torna ad abbassarsi in verticale, per maturare i frutti a terra. Quando questi ultimi si schiuderanno, le formiche, creature della terra, ne porteranno via i semi come nutrienti con le loro protuberanze, portandoli nei loro nidi, come le api portano il nettare nei loro favi.
Che aspetto ha nei dettagli questo fiore, come esso armonizza la sua forma all’intera struttura della viola?
Il fiore è formato da cinque petali, quello inferiore che forma lo sperone si inarca in avanti con ampio labbro. Altri due petali, racchiudendolo, s’abbassano verso destra e verso sinistra, e nelle viole comuni, anche all’ingiù, mentre la famiglia delle viole del pensiero sottrae questi due petali alla forza di gravità e li aggrega alla coppia superiore, racchiudendola. Così queste viole intensamente legate alla terra con radici e stoloni, maggiormente tendono, anche nella forma dei fiori, all’ingiù, al contrario le viole del pensiero, dalle radici non ramificate, si protendono più decisamente all’insù. L’ovario è supero in ambedue, lo stigma uncinato volto all’ingiù, spostato dai cinque stami, dei quali i due inferiori reinviano all’indietro, nello sperone, due nettari dattiliformila cui secrezione lo riempie. Anche il calice partecipa a questo avanti-indietro protendendosi in avanti con i lunghi petali appuntiti, ma allungando all’indietro corte estremità tondeggianti.
Ora rimane da parlare del profumo, visto che spesso, prima dell’occhio, a scoprire prima la viola è il naso. Nel profumo l’essenza di questa pianta si annuncia in modo inconfondibile come nella forma. Non tutte le viole profumano, ma un gran numero di specie, tra cui la viola mammola, la viola miracolosa, la viola bianca, la viola del pensiero selvatica dei Sudeti e le loro rigogliose parenti di giardino, le “pensèe”, ed altre specie meno note, emanano profumo. Tutte questa forme di viola esprimono la loro peculiarità, la caratteristica dell’astralità che plasma il loro processo di fioritura, non solo con la forma, ma anche con la fragranza. Essa ci sfiora delicatamente e amorevolmente, allettante, mai importuna, retrocedendo rapidamente, timida. Secondo Rudolf Steiner dal profumo di una pianta si può percepire in che modo il suo elemento eterico affronta il suo elemento astrale. La pianta, in virtù della doppia natura fisico-eterica, è soprattutto una struttura liquido-solida. Essa non ha un’effettiva organizzazione dell’aria come l’animale che in essa si appropria del suo elemento astrale. Tuttavia, nel fiore la pianta tende oltre il proprio ambito essenziale e va verso l’elemento animale. Essa attira verso di sé la sfera astrale che la circonda (“che la circonda di anima”, ma che non la anima) e sperimenta tutti i cambiamenti d’idea della propria attività plasmatrice eterica, trasformando la produzione di foglie in produzione di fiori. Di ciò fa parte la produzione del profumo, l’inizio di un’organizzazione dell’aria. Essa però non può limitarsi al proprio interno, ma fluisce in tutto l’ambiente circostante nel quale tesse l’elemento astrale che le appartiene, ma che è esterno al suo corpo. Tale struttura aerea improntata alla sua essenza può allora entrare in contatto con le entità terrene che si muovono e che respirano, l’animale e l’uomo. La forma interiore dell’animale, messa in movimento dall’organo olfattivo, sarà in grado di scatenare una determinata esperienza di stimolazione nell’anima animale, nel suo corpo astrale. Nell’uomo, la creatura terrestre dotata di spirito, si potenzia questa esperienza nella conoscenza dell’essenza, in una comprensione di come è fatta la natura eterica della pianta odorosa, e nel suo rapporto con la sfera astrale. Lo si tenga presente per poter meglio onorare la molteplicità delle indicazioni fornite da Rudolf Steiner che costituiscono la seconda parte del presente trattato. Già in questa sede si può però ricordare che sia la nota vivificante che quella rinfrescante della fragranza delle viole mettono sempre in risalto la fugacità. In altre parole, la nota calorica non risulta percepibile. In ciò si esprime l’aspetto eterico dei processi della nostra pianta che danno origine al profumo, il modo in cui l’etere vitale, l’etere chimico, l’etere luminoso, l’etere del calore (e i relativi spiriti elementari) compongono questo suo corpo eterico. Tuttavia, anche per cogliere l’altro aspetto dello sviluppo della fragranza, quello che dipende dall’elemento astrale, le forze di base del mondo animico vengono ordinate secondo una scala di profumi che oscilla tra i poli di simpatia ed antipatia, tra aroma inebriante e cattivo odore, repellente, ma eccitante, tra il profumo degno di Venere dei fiori di acacia o di tiglio e quello saturnino dell’assafetida, la fragranza della viola si pone certo dal lato della simpatia di questi veicoli di profumi, ma non al suo estremo, bensì vicina ad un certo equilibrio. Per questo aroma ci si deve attendere il relativo centro d’irradiazione planetaria.
Riassumendo si può dire che i fiori delle viole, rispetto alla loro struttura, si devono considerare completi, grandiosamente modellati. In ciascuna delle loro parti si manifesta la forza strutturante del principio della globalità. Lo stigma, il calice, gli stami sono espressi tanto quanto è espresso il fiore intero. Ciò vale pure per il suo colore che retrocede alla vista con tonalità scure e si fa avanti con tonalità chiare, come pure per il profumo, come si è mostrato.
Dal fiore si sviluppa il frutto e da questo i semi. Come si comportano le viole in questa fase della loro vita? Le specie legate al suolo depongono le capsule mature a terra, ove si aprono e fanno apparire i semi. Come già ampiamente spiegato, essi hanno escrescenze ricche di sostanze nutritive che inducono le formiche a farsene diffonditrici. Invece, le specie di viole fornite di gambo che non concedono troppo allo sviluppo delle radici, maturano le loro capsule in aria. Una volta maturate esse si schiudono in tre parti, i semi vengono espulsi dall’involucro e proiettati energicamente alla distanza di alcune spanne.
Le viole sono autentiche piante primaverili. I loro fiori sono già predisposti in autunno, attraversano l’inverno come boccioli e si schiudono non appena la chiara luce e il delicato chiarore primaverili sfiorano la terra, prima che buttino i boschi di latifoglie oscurando con la loro ombra il suolo. L’eccessiva oscurità è poco consona alla loro natura quanto l’eccessiva luminosità. La primavera vede i bei fiori, grossi, colorati e profumati, vivere i loro rapporti con gli animali. Tuttavia, verso l’estate, alcune specie di viole, altre specie in circostanze particolari, producono regolarmente un secondo tipo di fiori: nani, verdastri, invisibili, dall’aspetto deperito, che non si schiudono, che man mano che i pollini si producono nelle antere riempiono, crescendo, gli stigmi. Proprio questi fiori cleistogami (detto di fiore che rimane chiuso e quindi si autofeconda) sviluppano la maggiore quantità di semi e i semi più dotati di potere germinativo. Se ad esempio si porta una viola mammola, che in natura non si comporta così, in un locale poco luminoso, subito essa rinuncia ai suoi bei fiori e al loro posto produce fiori cleistogami. Un fatto simile mal si adatta alle normali idee dello “scopo della fioritura” e induce a chiedersi cosa provochi l’assenza di una parte tanto essenziale dell’autorappresentazione della pianta. Evidentemente, quando la pianta riceve troppo poco interesse di luce cosmica, essa non si esprime compiutamente, o vi riesce solo parzialmente. Avremo ancora occasione di parlarne. Molti botanici suppongono che la Viola odorata, la ben nota viola mammola o violetta, sia stata portata iltralpe nell’Europa centrale da alcuni monaci, come pianta medicinale, diffondendosi così nei giardini di casa e da lì ulteriormente nei campi e nei boschi. Contro tale teoria depone però il fatto che la minuscola ambasciatrice della primavera è diffusa dalle Alpi alla Scandinavia, abita limitari dei boschi, radure, cespugli, siepi, vive assieme a piante che non sono o non erano certo di origine mediterranea.
Da una simile capacità di diffusione ci sarebbe in ogni caso da attendersi una pianta dai frutti o dai semi alati, che invece la nostra viola non ha. Contro un’opinione del genere depone pure il fatto che già in epoca pagana la viola fosse nota nel nord della Scandinavia e venisse considerata sacra col nome di Tyrsfiola, da Tyr, il dio della guerra, e che tra le popolazioni germaniche più meridionali si chiamava Ziu, dal quale prende il nome il secondo giorno della settimana, Tyrsdag, Ziustag, che in inglese è diventato Tuesday e in alamanno Zyschtig. Tuttavia, anche le popolazioni romaniche hanno dato a quel giorno, che nelle lingue attuali è diventato Mardi, Martedì, il nome del loro dio della guerra, Marte. Anche le antiche e radicate usanze popolari di primavera confermano che la viola doveva essere una pianta originaria delle regioni menzionate. La solenne raccolta delle prime viole fiorite quali garanti del risveglio della vita, era una di tali usanze. Una foglia veniva raccolta e aggiunta alla minestra d’erbe primaverili assieme ad altre otto erbe, tra cui l’edera terrestre, l’achillea, il dente di leone, il romice, il lepidio, ortica…. per rinfrescare il sangue e strappare di dosso l’inverno. Allo scopo non si sarebbe certo scelta una pianta straniera, ma solo piante locali, da lungo tempo note.
Ma come è finita questa graziosa creatura nel corteggio del dio della guerra? La pianta dell’umiltà non può avere nulla a che fare con la combattività; devono esserci altri nessi. Si può venire singolarmente toccati dal fatto che non fosse solo il Marte (Tyr) mitologico nordico ad avere rapporti con la viola, ma anche un personaggio rappresentativo dell’era moderna, una creatura di Marte di primo rango: Napoleone. Egli considerava infatti la viola il suo fiore preferito. Nato con la vocazione di far partecipare tutta Europa agli ideali della rivoluzione francese e di preparare l’epoca in cui libertà, uguaglianza e fraternità dovevano realizzarsi, dimenticò tragicamente il suo motto, se solo la “pensèe” sia riuscita a ricordarglielo!
I già citati nomi dei giorni della settimana possono guidarci sulle tracce della soluzione dell’enigma. Tali nomi rimandano a divinità quali Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e pure alle loro sedi celesti, come pure agli astri che nel corso dell’anno ruotano attorno alla terra. Non si guardi, quindi, al dio Tyr o a Marte, ma al pianeta, al suo astro, alla sua posizione e alla sua importanza all’interno del sistema solare. Descrivendo la singolarità del sistema vegetale di Usteri, si è rapportata la sua suddivisione per sette alle fasi dell’evoluzione della terra.
Coi suoi aspetti passati e futuri essa si riflette nell’evoluzione di tutte le sue creature e quindi anche in quelle del regno vegetale. Basti questo accenno per non dover ripetere ancora una volta, se pur da punti di vista differenti, quanto già descritto. Ricordiamo ora le Monocotiledoni e le Aclamidee, la classe di Marte e quella di Mercurio. Discesa dalla stazione di Marte, che ripeteva l’”antica evoluzione lunare”, punto di inversione e risalita, accogliendo impulsi di Mercurio come germi di futura grandezza e pienezza, ecco il tema base della duplicità insita nella globale suddivisione in sette in cui l’effettiva evoluzione terrestre stessa appare sintetizzata in sé. Si può quindi suddividere questa evoluzione terrestre in due metà, una di Marte e una di Mercurio, la prima delle quali è ormai superata, come ha spiegato Rudolf Steiner in altre sedi. La viola, che nel sistema di Usteri compare ben due volte sotto il segno di Marte, acquisisce il profondo legame della sua componente vegetativa con la terra, del suo percorrere il cammino terrestre di Marte. Per questo motivo è la “Tyrsfiola”. Da Mercurio, però, riceve forze che affiorano nella sua formazione dei fiori. E su questo ci dilungheremo ancora.
Ora una parte di chimica. La natura tipica delle Violacee, infatti, non si esprime solo in forma, colore, profumo e ritmo vitale, ma anche nell’ambito della materia. Nella manifestazione dei suoi processi vitali si formano sostanze ben precise, vengono separate dal flusso vitale e sono così percepibili dal chimico che esegue analisi. Una volta scisse, infatti, appartengono allo stesso ambito cui appartiene la sua chimica. Sono le impronte morte di attività viventi. Queste sono riassunte nella struttura vivente, nel tessuto delle forze plasmatrici all’interno del quale le Ondine sognano l’autentica chimica delle viole. Le sostanze percepibili dal chimico di oggi sono invece solo il sedimento che il flusso della vita lascia cadere quando incespica da qualche parte, o cade come cenere sotto la fiamma che divampa. Qui sussiste il pericolo che, assieme alle sostanze, anche il senso con cui esso inizia a svolgere ricerche muovendo dall’elemento vivente si smarrisca nell’elemento di morte e le veda come “contenuto”, “sostanze attive”, “sostanze pregiate”. Così è nata la farmaceutica materialistica dei tempi nostri. Essa perde di vista sia l’elemento vivente-creativo delle piante che l’entità dell’essere umano al cui aspetto solo fisico-materiale i suoi metodi si conformano. Tale vicolo cieco potrà venire evitato connettendo sempre la ricerca sulla materia alla visione di tutte le attività viventi che precedono la formazione di tale materia. Solo così può venire costruita una “biochimica” degna di tale nome.
Esaminiamo ora le cose rispetto a tali elementi per le due Violacee più note: la Viola odorata e la Viola tricolor. Iniziamo dalle radici, per passare a foglia e germoglio e terminare con fiore e seme.
a) Nelle radici sono immagazzinati zucchero, amido e una sostanza attiva simile all’emetina che spiega perché questa radice è stata usata come ipecacuna, “ipecacuna bianca”, quando, in condizioni di emergenza, quella vera non era reperibile. In tali radici sono state inoltre trovate delle saponine. Da ultimo la radice contiene acido salicilico nelle sue combinazioni con altre sostanze.
b) Le parti sopra terra, foglia, gambo, fiori, sviluppano mucillagini contenenti cellulose di metile e derivati di salicile. A queste parti si aggiungono gli aromi presenti sia nella foglia che nel fiore; più delicati e aromatici nella foglia, più intensi nel fiore. Tali sostanze aromatiche sono state analizzate e si è trovata una gran quantità di “componenti” chimicamente definiti, tra cui il più importante è lo ionone, tutti sinteticamente riproducibili. Tuttavia la miscela di tali “componenti” non riproduce assolutamente il profumo di viola, ma tutt’al più una sua parvenza. Di conseguenza, anche in futuro, l’industria profumiera non potrà rinunciare ai campi di viole di Grasse (nel sul della Francia).
c) Nel processo di fioritura si sviluppano anche i pigmenti che hanno, essi pure, una base sostanziale, appartenente soprattutto alla classe degli antociani. Tali pigmenti, contrariamente ad altri, sono idrosolubili e sensibili alla reazione dei succhi cellulari dei fiori; diventano di color rosso, viola o blu a seconda che il succo cellulare abbia una reazione acida, neutra o alcalina. Gli antociani non si formano solo nei fiori, ma anche nelle foglie tinte di rosso del faggio sanguigno, della sanguinella, della menta inglese, dell’acero rosso e di alcune altre piante.
d) I semi, infine, contengono proteine e oli grassi, ma nessun carboidrato (amido, zucchero). Nelle diverse sostanze trova così espressione l’essenza delle viole. L’assenza di determinate sostanze rivela pure ciò che esse non sono. Inoltre, esse non producono assolutamente tannini, alcaloidi, glucosidi, cardiotonici. E anche questo va ricordato per poterle capire.
Cosa si esprime in questa produzione di sostanze? Iniziamo dalla radice in cui la viola affronta l’elemento terrestre, che la influenza e che comunque fa da trait d’union tra il mondo minerale e l’essenza vegetale satura di etere vitale. E’ il mondo degli Spiriti terrestri che agiscono in modo naturale tramite le forze dell’antipatia. Da questo la chimica delle viole riceve la spinta a tessere sostanze simili all’emetina che, introdotte nell’organismo umano, provocano violente reazioni di antipatia nel tratto digestivo che si manifestano in vomito. (La vera ipecacuna, la rubiale Uragoga ipecacuanha, ha una forma di vita molto simile a quella della viola. Solo che, in quanto pianta della foresta tropicale, ha effetti ancora più forti sul ricambio).
Da valutare la rilevante presenza delle saponine nelle radici. Da un certo punto di vista le saponine possono essere considerate il “Mercurio vegetale”. Esse hanno una maggiore capacità di produrre schiuma, di legare l’elemento aereo dell’aria a quello dell’acqua, il che significa formare sottili bollicine. Nell’organismo umano esse percorrono le vie risananti di Mercurio, del metallo detto anche argento vivo; favoriscono la scomposizione delle sostanze nutritive, che vengono emulsionate sotto forma di goccioline; così anche nei succhi digestivi, nella digestione interna al di là della parete intestinale; accompagnano inoltre le ulteriori metamorfosi nell’emopoiesi; consentono una respirazione più profonda nei polmoni, che sono un organo di Mercurio. I globuli rossi che assorbono l’ossigeno diventano più sensibili all’effetto delle saponine. Le saponine sono ostili alla vita ittica. Ancora: le saponine hanno una struttura che le accosta ai veleni dei serpenti. Presso i popoli che in tutti i continenti vivono allo stato naturale, le piante contenenti saponine sono sempre state usate come rimedio contro i morsi dei serpenti, contro cui potrebbero addirittura assicurare una certa immunità. Il serpente che si avvolge attorno al caduceo contraddistingue Mercurio, il dio della guarigione. Le piante medicinali che contengono saponine favoriscono l’espettorazione, giovano in caso di tosse, catarro e a questa stregua è stata usata anche la viola, persino per curare la pertosse. L’acido salicilico e le sue combinazioni compaiono spesso nel regno vegetale, ad esempio nei salici (da cui prendono nome), nell’olmaria, nell’edera, in alcune specie di mirtillo e di primule. Si tratta di piante le cui radici sono amiche dei terreni umidi, soggetti ai rigori dell’inverno: esse entrano rapidamente in un vivace processo di fioritura. L’elemento acqueo viene trasposto nell’elemento aereo e volatile; l’eterico cede il passo all’astrale. (L’acido salicilico riflette nelle sue caratteristiche materiali tale processo, infatti è solubile in acqua e si volatilizza coi vapori acquei). Da lungo tempo piante del genere vengono usate per curare le malattie da raffreddamento e i reumatismi.
Con questo ci siamo occupati della misura in cui l’entità delle Violacee si esprime pure nel mondo materiale in esse contenuto e dell’accordo tra quanto emerso dalle ricerche sulla vita e sulla materia. Solo la parola conferisce posizione e senso alle singole lettere nelle quali può venire scomposta, ma dalle quali non può venire costruita una volta che la parola è andata smarrita o dimenticata o forse addirittura non è stata compresa, perché la lingua non risultava più comprensibile. In tal caso anche la conoscenza di tutte le lettere dell’alfabeto non serve.
Questa è la sede in cui le dichiarazioni sulle viole fatte da Rudolf Steiner in differenti occasioni della sua vita, a questo o quell’uditorio, possono venire collegate a quanto sin qui elaborato. Tali dichiarazioni possono ora sommariamente venire comunicate nella loro sequenza temporale, nella misura in cui sono note a chi scrive (forse se ne possono trovare anche altre).
1. L’elemento etico-sensibile e simbolico delle viole
In due conferenze tenute a Berlino il 20 e il 21 ottobre del 1906 il ricercatore dello spirito dichiara che quando si cerca di esperire l’aspetto spirituale del mondo bisogna andare oltre la conoscenza sensibile che ci consente di sperimentare solo l’esistenza del suo aspetto fisico. Allo scopo bisogna acquisire l’abilità animica dell’immaginazione con cui si imparano a sperimentare le cose che ci circondano come simboli di forze superiori. Bisogna acquisire nei loro confronti un atteggiamento morale, “etico”. <<L’allievo può, ad esempio, osservare un colchico e una viola. Se io nel colchico vedessi il simbolo di un animo malinconico, non l’avrei solo colto come mi viene incontro esteriormente, ma come simbolo di una caratteristica. Nella viola per contro si può scorgere il simbolo di un animo silenzioso, pio>>. Così il caduco, la manifestazione, diventa allegoria dell’eterno, dell’essenza. E inoltre: nel colchico si può <<scorgere un’immagine dell’animo malinconico, nella viola un’immagine della silente devozione, nel girasole un’immagine della vita che sprizza forza, un’immagine di autonomia, di ambizione>>.
2. L’origine delle viole
In una conferenza tenuta a Kassel il 26 giugno del 1907, Rudolf Steiner disse che l’evoluzione della terra è stata preceduta dall’antica evoluzione della Luna, che ha prodotto i tre regni della natura, come livello inferiore quello minerale-vegetale, come secondo livello quello vegetale-animale e come terzo livello quello animale-umano. All’epoca non esisteva ancora un regno minerale solido, ma tutt’al più viscoso con inclusioni lignee o cornee. Quando quel mondo terminò e da esso, come successivo livello di creazione, nacque la terra, per prima cosa venne ripetuta in forma abbreviata, ontogenetica, la filogenesi, il passato adattato a ciò che stava diventando nuovo. Contemporaneamente dai tre regni naturali dell’antica Luna si svilupparono i quattro regni naturali della terra. Il regno minerale-vegetale si scisse, verso il basso venne espulsa la pura natura minerale, che allora potè formare lo stato solido, le pietre, ecc. Le forme in via di formazione non presentavano però ancora nessuna impronta della perduta “semivegetalità”. Così, ad esempio, lo gneis presenta nell’elemento feldspatico un quid che ricorda il picciolo di una foglia, naturalmente molto metamorfosato, e nella mica un quid che ricorda calice e fiore. Verso l’alto invece si liberò ciò che divenne poi la forma delle piante terrestri, il mondo vegetale “estetico”, dalle belle forme, tra cui la viola. In modo analogo si scisse il secondo regno naturale della Luna, quello dei vegetali-animali: verso l’alto si liberò il mondo degli animali terrestri, mentre verso il basso si sviluppò un mondo vegetale inferiore, quello delle piante saprofite (con cui s’intende tra l’altro il mondo dei funghi e affini che deve vivere sfruttando le piante in decomposizione e non si costruisce da se stesso – come le piante verdi – e che in luogo di cellulosa come sostanza che lo avvolge e lo supporta, produce chitina, come gli insetti, e così via).
3. Il mondo vegetale come riflesso naturale della coscienza umana
Per quanto riguarda la viola, Rudolf Steiner non ne parlò per 17 anni. Solo nel ciclo di conferenze L’uomo, sintesi armonica delle attività creatrici universali (10 novembre 1923), il cosiddetto “ciclo delle farfalle”, egli tornò a parlare della viola, dopo avere descritto immaginificamente l’effetto etico-sensibile della forma vegetale sui sensi animici evoluti. La radice delle piante potrebbe suscitare l’impressione di un banchiere sazio, contento di sé, in possesso dei Sali assorbiti dalla terra. I fiori, invece, possono venire recepiti come la propria anima quando coltiva i desideri più delicati.
<<Guardate a questa stregua un vero fiore di primavera, in fondo è un sogno in cui viene realizzato un desiderio…. A primavera vediamo la viola, oppure la campanula o il mughetto o certe piantine dai fiori gialli e ne veniamo catturati come se tutte queste piante che fioriscono a primavera volessero dirci: “Oh uomo, con quanta purezza e innocenza potresti rivolgerti verso i tuoi desideri, verso l’elemento spirituale!” La desiderata natura immersa nella devozione germina e germoglia da ogni fiore di primavera>>. Ad essa viene contrapposto come estremo il colchico (a cui alludono alcune drastiche definizioni popolari). (Il nome tedesco, Herbstzeitlose,
letteralmente significa “privo di stagione autunnale”, nome a cui allude un po’ l’altra nostra sua denominazione: “bastardo”). Da ultimo c’è l’immagine del mondo vegetale come riflesso naturale della coscienza umana quando questa lo guarda con forza conoscitiva immaginativa.
4. Viole mammole, un saluto dallo Spirito del mondo
Sei mesi dopo, nel corso di un discorso tenuto a Pasqua (27 marzo 1924) alla Waldorfschule (in Italia, scuole steineriane) di Stoccarda in occasione della conclusione dell’anno scolastico e l’inizio del nuovo, allievi, insegnanti e genitori si sentirono dire: <<A primavera, quando arriva la Pasqua, i semi spingono fuori dalla terra i fiori. Le viole mammole sono un saluto della luce solare e dello stesso Spirito del mondo. Il verde ci ricorda ciò che possiamo sperare dalla vita, ciò che vorremmo desiderarne. Il verde contiene in sé il colore della speranza, del desiderio, della gioia di vivere>>.
5. Le cause prime cosmiche delle fragranze vegetali. Viole e Mercurio
La spiegazione più ampiamente esauriente sulla natura delle viole la dobbiamo a una conferenza tenuta agli operai del Goetheanum il 9 agosto 1924. In tale occasione Rudolf Steiner, alla domanda di un operaio che chiedeva da dove provenissero gli odori delle piante e delle razze umane, Ecc., rispose che dai corpi olezzanti devono emanare dei gas e che solo i nasi sono in grado di percepirli. Egli aggiunse che nelle parti solide della viola c’è appunto un elemento gassoso – così come l’essere umano sta dentro le proprie scarpe. La viola è tutta naso; essa odora ciò che lo Spirito inscrive nel cosmo. Soprattutto annusa ciò che fluisce da Mercurio. In base a ciò essa sviluppa la propria fragranza. Una creatura dalla fragranza delicatissima si forma così come percepisce olfattivamente il mondo. Creature simili sono le piante. Esse recepiscono olfattivamente il cosmo e in base a ciò si orientano. <<Che fa la viola? Vedete, essa è appunto tutta naso, un naso sensibilissimo. E la viola recepisce molto bene proprio ciò che, ad esempio, fluisce da Mercurio e in base a ciò sviluppa il proprio aroma fisico, mentre la ferola o assafetida (un’ombrellifera, l’assafetida che produce una droga) percepisce molto sottilmente ciò che fluisce da Saturno e in base a ciò struttura il proprio corpo gassoso e puzza>>. Le piante prive di aroma ne hanno comunque uno, quello rinfrescante dei vegetali, che proviene dal Sole. La viola <<è tutta naso, accoglie l’odore cosmico di Mercurio. Lo trattiene…così che viene fermato tra le due componenti solide, e lo emana. Allora è tanto denso che noi riusciamo ad odorarlo. Quando quindi dalla viola ci viene incontro Mercurio, noi lo odoriamo>>. Un analogo fenomeno avviene tra la ferula (assafetida) e Saturno, tra gli ippocastani o i tigli e Venere. <<Così, in realtà, attraverso le piante ci viene incontro il profumo del cielo>>.
Quanto agli odori delle razze, ad emanare odore sarebbe l’elemento vegetale presente negli esseri umani e tale odore, a sua volta, dipende dai pianeti che agiscono in modo del tutto diverso in base alle varie regioni terrestri. Sull’Asia agisce con particolare intensità Venere, la stella della sera; sull’America Saturno, sull’Africa Marte. Su ogni parte della terra agisce con particolare intensità un pianeta. Ciò in correlazione anche con le formazioni montuose.
Il naso sporge dalla testa come un fiore. E certi fiori assomigliano a nasi. Scrofulariacee, Labiate, hanno forme di nasi. I fiori odorano, le foglie hanno sapore, di fatto sono lingue; le radici guardano (con occhi deboli, come esseri umani).
A questo riguardo, Rudolf Steiner si è espresso con immagini semplici, adatte all’uditorio. A degli scienziati avrebbe parlato in tutt’altro modo, avrebbe scelto altre immagini, sviluppato diversamente il filo logico, ma avrebbe tratteggiato esattamente lo stesso fenomeno. Le sue descrizioni sono perfettamente in accordo con tutto ciò che ha detto della natura delle piante, a cominciare dai commenti agli scritti scientifici di Goethe. La pianta viene sempre rappresentata come un’entità soprasensibile-sensibile, cosmico-terrestre, connessa, tramite la materia, all’elemento terrestre, tramite l’elemento eterico, le forze plasmatrici, al cosmo eterico, che tesse e vive nell’ambito delle forze che emanano dalla terra e quelle cosmiche che la penetrano. Questa entità vegetale, con le radici “guarda” le caratteristiche del suolo, con le foglie “gusta” il concorso tra forze fisiche ed eteriche, con i fiori fa da naso, “annusa” il contatto tra la propria natura eterica e le radiazioni astrali che le giungono dai pianeti. Essa condensa queste radiazioni astrali e si forma il corpo aereo aromatico. Ogni elemento astrale, infatti, prende forma aerea, così come ogni elemento eterico prende forma liquida.
Riassumendo si può dire che le forze, che vengono incontro all’elemento insito nelle radici e nelle foglie connesso alla terra, sono forze cosmico-mercuriali; con esse il cosmo <<ficca il naso nell’elemento viola>>, aggiungendo alla componente terrestre quella celeste che si manifesta in fiore e frutto.
6. Viole e piante velenose. Piante in via d’estinzione e piante con un futuro
Rudolf Steiner si occupò forse per l’ultima volta delle viole in occasione di una serie di conferenze dal titolo La coscienza di iniziato tenute a Torquay (19 agosto 1924). L’esposizione prende l’avvio da un confronto tra piante velenose e non, quali si presentano all’iniziato, al ricercatore dello spirito. Quali forme archetipiche delle due specie di piante vengono scelte la belladonna e la viola. La viola appare circondata dall’elemento generale cosmico-astrale; la belladonna, invece, lo assorbe nei frutti (altre piante velenose lo assorbono in altri organi). Le piante non riescono ad inglobare in sé tali forze, cosa possibile solo all’essere umano che così reca nel proprio corpo astrale tutte le forze che nelle piante invece dovrebbero produrre veleni. La viola, egli dice, resta nel proprio mondo, si accontenta della vita vegetale; la belladonna invece assorbe in sé le forze di un mondo superiore, ne diventa il “medium” e ne viene “posseduta”. Quando l’essere umano, dopo la morte, entra nel mondo spirituale, attraversa una sfera in cui potrebbe percepire le entità che fanno delle piante velenose delle piante “possedute”, una per ogni specie, differente e dalle bizzarre forme spirituali. Successivamente accede a una sfera superiore in cui si manifesta l’entità della viola. Le piante velenose, dice Rudolf Steiner, recano dentro di sé forze di morte e a poco a poco si estingueranno, non hanno futuro. La viola, invece, ha un futuro, si trasformerà ancora e si manifesterà in tutt’altre forme. Tra la prima apparizione e l’ultima intercorrono molti anni, eppure l’immagine della viola è sempre la stessa, anche se considerata da aspetti differenti. E’ la silenziosa, pia, innocente creatura della primavera che si contrappone al colchico o alla belladonna, piante velenose malinconiche, sleali, possedute, medianiche. Essa ha partecipato in modo corretto al divenire del mondo partito dall’antica Luna, ha un futuro, si svilupperà ulteriormente. Eppure ha abbandonato la “via di Marte” e si è trasformata in autentica pianta terrestre, poi è stata colta dalle forze di Mercurio e ora vive il futuro, andando incontro alla seconda metà dell’evoluzione terrestre, pronta a ciò che verrà.
Mercurio però è il guaritore cosmico. Per le seguenti esposizioni conclusive ci avvarremo delle due caratteristiche terapeutiche di due Violacee, le già citate viole mammole e le viole del pensiero.
L’uso della viola mammola, Viola odorata, quale pianta medicinale risale almeno al Medioevo. Hildegarda von Bingen, ad esempio, la consiglia contro la malinconia, la cataratta, il cancro. (Non intendendo assolutamente parlare del carcinoma, ma le ulcere di diverso tipo). Le foglie delle viole, inoltre, fanno parte integrante della miscela di erbe necessarie alle cure di primavera, alle tisane che purificano il sangue, entrano nelle composizioni delle minestre d’erbe primaverili. Quando l’elemento statico della natura invernale si trasforma in dinamica primaverile, quando gli elementi terra, acqua, aria si associano a dar vita alla primavera terrestre alla stessa stregua in cui cosmo e terra collaborano, allora tutte le entità terrestri partecipano alla vita rigenerante. Le prime piante di primavera spuntano dal terreno e tra di esse c’è la viola. Esse offrono la loro pienezza di vita prima che il bosco rinverdisca, che il prato germogli e che nei campi spunti il grano (nelle zone temperate più fredde). Anche l’ essere umano viene catturato da questi possenti eventi, diventa preda delle crisi di primavera che vogliono venire superate. Le forze del ricambio traboccano, s’infrangono contro la sfera sensoriale, il polo formale della fisicità, gli impulsi della materia minacciano di sopraffare gli impulsi della forma. Nel corso dell’anno, il periodo di Mercurio si approssima con la Pasqua. Allora Mercurio-Raffaele non si limita a destare i fiori della viola, ma anche il suo principio guaritore. Le forze della natura che hanno portato alle crisi la salute, creano anche le piante in grado di guarirle. Anche altre abnormi attività del ricambio che forzano l’organizzazione superiore, quali ad esempio quelle che derivano da un’intossicazione alcolica, possono venire stemperate nelle loro conseguenze. I processi di produzione di sostanze emetiniformi, di blanda formazione di saponine, che hanno luogo nella radice, come già detto, hanno reso la radice di viola l’occasionale sostituta dell’autentica ipecacuana, la rubiacea Uragoga ipecacuanha, e consentono di usarla contro gli attacchi di diarrea, di riportare entro i suoi confini un ricambio patologico che sconfina nella zona dei polmoni, di combattere la produzione di catarro, le conseguenze del raffreddamento. I legami di acido salicilico che si sviluppano nelle piante e che devono vedersela con gli effetti ambientali del raffreddamento, di cui abbiamo appena parlato e che sono abbondantemente presenti nella chimica della vita delle viole, sostengono i suddetti effetti terapeutici ed ampliano la sfera d’azione della viola in direzione dei problemi reumatici.
La viola del pensiero, Viola tricolor, questa simpatica erba estiva di prati e terreni poveri ha proprietà terapeutiche non molto dissimili dalla violetta. Tuttavia certi effetti sono più spiccati. Questa specie di viola preferisce i terreni silicei e quindi prospera soprattutto nei campi di segale. Come la viola mammola, essa contiene violina, saponina, combinazioni di acido salicilico, mucillagini, zucchero. Oltre a una propensione per l’elemento siliceo rivela tuttavia una propensione per determinate tracce metalliche che si manifesta chiaramente nella tipica capacità della viola calamina, una specie della viola mammola, di assorbire molto zinco dai terreni che ne sono ricchi. Calamina di carbonio e di silice, zinco carbonico e silicico, sono importanti minerali di zinco. Le viole calamina si trovano in terreni ricchi di calamina molto distanti tra loro, quali quelli del Belgio e della Slesia superiore. Nella terza edizione del suo libro Sieben Metalle, l’autore ha dedicato un intero capitolo allo zinco ed ha tentato di descriverne l’importanza per l’organizzazione vegetale, animale ed umana. Qui lo zinco viene descritto come un metallo che rivela delle analogie con il piombo, il ferro e il mercurio, delle affinità con l’elemento saturnino, marziale e mercuriale. In questa sede non se ne può parlare dettagliatamente e conviene rifarsi al testo citato. In questa sede viene citato solo perché è stato precedentemente descritto l’aspetto marziale e mercuriale del processo delle viole.
La viola mammola veniva e viene usata in caso di disturbi del ricambio dei bambini, accompagnati da vomito e diarrea, contro eczemi scrofolosi ed esantemi, contro la crosta lattea e contro la spasmodica tendenza del corpo astrale ad incarnarsi a poco a poco nelle regioni del ricambio, come accade nelle “Freisen”. Genericamente: contro eczemi, sfoghi cutanei, acne, fenomeni contraddistinti dalla penetrazione del ricambio nella pelle quale parte dell’organizzazione dei nervi e dei sensi soggetta all’azione inferiore della silice. La Viola tricolor ha trovato applicazione anche come diuretico in caso di patologie delle vie urinarie e della vescica.
Così recitano le esperienze del passato, quelle della terapia naturale, della scuola omeopatica. Si conosce però anche un’indicazione di Rudolf Steiner sull’uso terapeutico della viola mammola e con ciò si penetra pure nella medicina ad orientamento antroposofico. Si tratta di un consiglio dato a un medico amico che aveva una paziente di circa 40 anni affetta da un eczema ribelle diffuso su viso e torace. Rudolf Steiner consigliò di sottoporre la signora a bagni caldi alla cui acqua era stato aggiunto il decotto di una miscela di erbe così composta: viole mammole, fiori di sambuco, fiori di camomilla, germogli di ginepro e un’aggiunta di crusca di frumento. Quanto precedentemente detto sulle viole mammole rende comprensibile la sua scelta: i “delicati” processi di fioritura della camomilla e del sambuco esplicano un’azione disinfiammante e risospingono i processi del ricambio, penetrati senza più controllo nella pelle, l’organo dei sensi, al loro giusto posto; le punte aromatiche dei polloni di ginepro volgono di nuovo verso l’esterno, dalla sua “confusione” interiore, il corpo astrale distolto dal suo effettivo compito di esperire il mondo esterno attraverso il senso della pelle e voltosi all’aspetto del ricambio dei processi della pelle. Questa parte infatti del corpo astrale deve esperire stimoli del mondo esterno e non il ricambio patologicamente irritato della pelle. La crusca di frumento, la sostanza esterna dei cereali ricca di acido silicico, può portare al processo siliceo della pelle il necessario irrobustimento che ristabilisce le sane forze della forma e di eliminazione della pelle (Rudolf Steiner diede il rimedio senza commenti; tuttavia si pensa che la sua efficacia vada spiegata a questo modo).
In futuro, allievi di Rudolf Steiner ci schiuderanno ulteriori applicazioni delle nostre due piante medicinali. C’è ad esempio la viola calamina col suo processo dello zinco reso vegetale…. per la quale il ricercatore dello spirito ha accennato alla capacità di trasformazione e al futuro della viola rispetto ad altre piante che stanno andando incontro a una rapida estinzione, per cui le vie di nuove applicazioni sono ancora totalmente aperte. Con la loro facoltà di guarire, le viole saranno vicine agli esseri umani anche in futuro, giacché hanno, come già detto, Mercurio in corpo.

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