di Eugenio Benetazzo

Finito il frastuono greco adesso arriva l’ondata di paura e tensione dalla Cina. Mentre la maggior parte delle persone si prepara per le vacanze e con la mente si proietta alle tanto sospirate settimane di relax estivo durante il mese di agosto, i mercati finanziari e gli operatori istituzionali iniziano a prepararsi a quella che potrebbe essere la più grande crisi finanziaria dal dopoguerra ad oggi. La Cina sembra destinata a clonare le gesta degli USA durante lo scoppio della bolla sui mutui sub-prime di otto anni fa. Non che questo sia una novità, del pericolo cinese ne abbiamo dato notizia in diverse occasioni ancora lo scorso anno, tuttavia sembra che quanto accada al di fuori dei confini europei non debba più di tanto interessare. Grande errore di valutazione: la Cina (purtroppo per noi) è diventata il polmone finanziario che ha sorretto con interventi e salvataggi mirati i mercati occidentali durante la crisi del 2008/2009. Adesso internamente si trovano a fare i conti con il fantasma del Natale Passato (citazione tratta da Christmas Carol di Charles Dickens). Il futuro per tutti si intravede purtroppo molto fosco e cupo, proprio a causa di questo. Andiamo per gradi: il cambio di governance politica nel 2013 tra Hu Jintao e Xi Jinping ha dettato le regole di un nuovo modello di crescita economica.
Basta con l’idea di una Cina il cui motore economico era spinto in misura più che rilevante dalle sole esportazioni verso l’occidente grazie ad una struttura produttiva di massa ad intensa laboriosità produttiva sottopagata ed a un volano di investimenti infrastrutturali che aveva abbondantemente superato la soglia della fisiologica saturazione. Con Xi Jinping nel 2013 la Cina vara un cambio radicale di modello economico per la propria crescita, puntando a far lievitare i consumi interni che fino al 2010 pesavano appena un 30% di PIL contro un 50% di spesa infrastrutturale (il rimanente 20% era attribuibile all’export). Inizia pertanto la spinta politica del credito facile alle famiglie cinesi al fine di consentire loro l’acquisto di una nuova abitazione e tutto quello che questo comporta (al pari degli USA tra il 2003 ed il 2007). Nel frattempo la Cina avvia un imponente piano di opere pubbliche ed infrastrutture per mezzo delle grandi aziende di stato controllate dal Partito Comunista in ambito edilizio volto alla realizzazione di nuovi ed immensi quartieri urbani in cui la realizzazione immobiliare tipo è rappresentata da imponenti torri residenziali che ricordano molto gli alveari. Questa strada viene intrapresa per compensare nel frattempo la contrazione delle esportazioni cinesi a seguito della Grande Crisi del 2008/2010 che aveva impattato pesantemente sui principali partner occidentali.
In aggiunta a questo abbiamo anche l’emersione di nuova concorrenza da parte di nazioni limitrofe appartenenti al blocco indocinese come il Vietnam, la Cambogia o la Birmania che si dimostrano più competitive nell’attrazione di nuove produzioni industriali. Ricordiamo inoltre che la Cina è un nazione che deve gestire in ambito sociale e demografico circa 500.000 migrazioni provenienti dalle provincie più povere verso quelle più ricche ed industrializzate su base quasi mensile. Si favoriscono pertanto i prestiti per l’acquisto di nuove abitazioni senza farsi tanti scrupoli: la storia si ripete a distanza di otto anni ovvero debito di bassa qualità erogato a persone dai mezzi limitati nella convinzione che il volano economico continui a sostenersi ed il valore degli immobili continui a salire. Se hanno sbagliato platealmente americani ed inglesi, state certi che anche i cinesi li seguirano a distanza. Purtroppo l’unica differenza con l’America è rappresentata dalle difficoltà di reperire informazioni e dati attendibili sul fenomeno a causa della nota reticenza e censura esercitata dal Partito Comunista. Sempre Xi Jinping per favorire i consumi interni e spingere i cinesi ad effettuare investimenti finanziari non tradizionali sui mercati interni – i cinesi hanno un tasso di risparmio mediamente al 30% del reddito disponibile – ha eliminato il vincolo ad un solo figlio dando la possibilità di averne anche un secondo, non a tutti ma in presenza di requisiti specifici. Ad oggi circa il 20% dei risparmi cinesi sono investiti nelle borse cinesi, che hanno visto quotarsi negli ultimi anni grandi aziende cinesi pesantemente gonfiate di debiti necessari a sostenere il programma di crescita economica infinita voluta dal Partito Comunista.
Circa cento milioni di famiglie cinesi hanno investito in borsa: chi ha investito in azioni lo ha fatto anche indebitandosi proprio come nel 1929, considerate a riguardo che in termini di cultura finanziaria i cinesi sono ancora fermi al tardo medioevo (lo dimostra il fatto che l’asset su cui si ripongono le proprie speranze per il futuro è proprio l’oro). In questo ultimo mese sono stati applicati dei blocchi alle quotazioni in seguito ai pesanti crolli avvenuti durante il mese di Luglio con il Governo che si è proclamato Protettore dei Corsi Azionari obbligando le aziende di stato a comperare i titoli azionari e imponendo dei limiti alle negoziazioni. Mi dà tanto l’idea di una pentola a pressione che sta per scoppiare ed anziché abbassare la fiamma, qualcuno mette un macigno sopra il coperchio sperando che tenga. Da quando dallo scorso anno si è dato il via libera agli operatori istituzionali occidentali di poter investire direttamente nella due grandi borse cinesi (Shanghai & Shenzen) il mercato azionario cinese è diventato volatile, turbo-violento e molto fragile. L’unica speranza che abbiamo è riposta nella capacità e velleità del Partito Comunista di saper gestire con lungimiranza tanto il deterioramento economico cinese quanto il raffreddamento delle due bolle cinesi (immobiliare ed azionaria). Ho smesso di credere alle favole a sette anni, adesso mi preparo al peggio.

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