di Eugenio Benetazzo

il termine MOU, perchè sarà il prossimo referente di governo, dopo che quello attuale sarà presto destituito. Per chi mi scrive chiedendo delucidazioni a riguardo, sappia che questo termine rappresenta un acronomio che sostituisce la lunga ed articolata dicitura di Memorandum of Understanding: in sintesi estrema il piano di ristrutturazione e risanamento aziendale che verrà applicato (imposto) al nostro paese per tirarlo fuori definitivamente dalle sabbie mobili in cui si trova ormai da più di dieci anni. In questi ultimi anni siamo stati bombardati da una nuova e ridondante terminologia di derivazione anglosassone che ormai ci riguarda sempre più da vicino impattando direttamente ogni giorno nel nostro vivere quotidiano. Ricordiamone alcuni in sequenza: spread, debt ceiling, spending review, fiscal compact, european financial stability facility, downgrade, outright monetary transaction, long term refinancing operation e low quality asset. Per quanto le possiamo odiare non siamo ancora sprofondati in un nuovo Medioevo o in una Nuova Grande Depressione Mondiale grazie all’operato delle banche centrali delle economie avanzate che hanno dato il via alla “easy money era” (epoca del denaro facile).

Dal Regno Unito al Giappone, dagli Stati Uniti al Vecchio Continente, i banchieri centrali si stanno cimentando nel più grande esperimento di politica monetaria non convenzionale della storia del capitalismo occidentale. Provare tutte insieme a rimettere in moto l’economia mondiale nella speranza o forse illusione che il denaro facile (easy money) possa ridare slancio ai consumi internazionali e stabilizzare i mercati finanziari. Purtroppo non ci stanno riuscendo. Persino il Giappone che un anno fa sconvolgeva tutte le comunità internazionali con il varo della Abenomics (la politica monetaria ultraespansiva proposta dal Primo Ministro Abe Shinzo) si deve ricredere sulla nozione che per rilanciare un’economia basti l’aumento della base monetaria e il ricorso al deficit di bilancio. Questo poteva probabilmente essere d’aiuto un tempo quando le economie avanzate erano tutto sommato poco industrializzate, ma in compenso molto vispe e vitali sul versante demografico. Il peggio sembra essere passato (non mi riferisco all’Italia): vi è una percezione di riduzione costante di rischio sistemico, il cosidetto tail-risk.

Con questo termine si suole definire il rischio di un nuovo inatteso shock sistemico globale che emerge dal nulla innescando una spirale ribassista su moltissimi asset finanziari: lo scenario che sembra delinearsi davanti a noi evidenzia una nuova fase di turbolenza finanziaria, quest’ultima tuttavia attesa e speriamo adeguatamente ponderata. A riguardo l’andamento del prezzo dell’oro può essere considerato il miglior indicatore risk-sensitive disponibile sul mercato, infatti quando si temeva il collasso monetario in Eurozona e possibili effetti domino sui mercati di tutto il mondo, il metallo giallo ha realizzato il suo picco a oltre 1900 $ l’oncia. Successivamente dopo gli interventi di politica monetaria non convenzionale di Bernanke, King, Draghi e Kuroda, questo tipo di rischio è rientrato ed oggi si può dire che è stato complessivamente metabolizzato. Certo vi è ancora l’incognita di Marine Le Pen in Francia: l’unica variabile che può rimettere in discussione l’integrità dell’Eurozona e la vita futura dell’Euro. Pertanto fino a Maggio 2014 con le elezioni europee vivremo in un limbo finanziario, un po come in Germania con le passate elezioni di settembre che hanno fatto decadere tutte le preoccupazioni antieuropeiste (pensiamo all’insuccesso di Alternative Fur Deutscheland).

Ma torniamo a noi. L’orizzonte sembra delineare una tempesta perfetta negli emerging markets. Questi paesi di cui abbiamo abbondantemente parlato in svariate occasioni sono direttamente ed osmoticamente collegati alle economie avanzate. Un soft landing, piuttosto di un hard landing in China, impatterà pesantemente sulle economie di queste nazioni. Aggiungiamoci il noto tapering della FED che ha innescato la crisi delle valute emergenti, le quali fanno emergere tutta la fragilità delle economie che non sono ancora dollarizzate (India, Turchia, Brasile, Indonesia) contraddistinte da un sistema finanziario ancora troppo vulnerabile. Infine per dirla alla Roubini, la constatazione che il commodity supercycle is over ovvero che la festa è finita per i paesi che sono commodity exporting countries (paesi esportatori di materie prime). La tempesta perfetta in sintesi considera una convergenza funesta (Great World Slowdown) data tra il protrarsi della depressione con casistiche deflative (Italia & Company) nelle economie avanzate e l’innesco di recessioni nelle economie emergenti a causa di un rallentamento mondiale della domanda dei consumi. Questo tipo di scenario sembra essere molto probabile nel corso del 2014 con un accentuarsi della cosidetta crisi mondiale, andando a questo punto a minare quel poco di sicurezza su cui fanno affidamento famiglie e individui (risparmi, pensioni e stato sociale).

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