Alimentazione

Aceto Balsamico:
una tradizione, tanti significati

Forse non siamo ancora sufficientemente abituati a porci subito in allarme di fronte alle etichette o alle denominazioni.
Il fatto è che la comprensione delle differenze tra le denominazioni e tra gli ingredienti dei prodotti alimentari, presuppone almeno una laurea in legge.

NELLA STORIA

Continuo nella Tradizione famigliare della produzione di Aceto balsamico Tradizionale di Reggio Emilia da 13 anni, guarda caso proprio dopo una laurea in giurisprudenza.
Subito un problema. Ma come? L’Aceto Balsamico si fa anche a Reggio Emilia???
Certo, e rincaro pure la dose: è nato, a Reggio Emilia!
Riporta “Vita Mathildis”, (la biografia della contessa Matilde di Canossa stilata dal monaco benedettino Doninzone, attualmente custodita al Vaticano) che nel 1046 (anno di nascita della contessa) suo padre il Marchese di Toscana Bonifacio incontra a Piacenza l’imperatore di Germania Enrico III. Proprio l’imperatore chiese al Marchese di regalargli un po’ di “…quel prezioso aceto che aveva udito farsi colà perfettissimo…”.
Cioè, l’Imperatore tedesco, mille anni fa, in pieno medioevo, di certo in assenza di mezzi tecnologici, “aveva udito” di un “prezioso aceto” che si faceva nelle colline di Reggio Emilia, a Canossa per l’appunto.

Il Marchese Bonifacio fa preparare un carro di argento, trainato da due buoi, sul quale ripone una botticella, sempre in argento ripiena di quel prezioso nettare.

Aldilà della simpatica ed annosa querelle tra i modenesi e i reggiani sul dove sia nato per primo il Balsamico, di certo questo era il territorio d’origine. Il territorio, quello corrispondente ai successivi domini estensi, che ha poi costituito un unico Ducato, quello di “Modena e Reggio Emilia” per più di 400 anni.

Ciò per dire che, comunque, questo era il territorio dal quale ha preso vita il prezioso elisir che, ricordo, non era affatto considerato come “ingrediente da cucina” ma era piuttosto un medicinale. “Balsamico” infatti è un termine che soprattutto un tempo richiamava più qualcosa attinente alla salute, al benessere psico-fisico. Si dice infatti che potesse aiutare la digestione, alleviare il mal di testa, aiutare il corpo fungendo da perfetto tonico finanche sanare i problemi della peste.
L’unico ingrediente del Balsamico della Tradizione era il mosto d’uva cotto. Lasciato acetificare in grandi badesse aperte (botti) ed invecchiare in piccoli vaselli (botticelle) di tanti legni diversi che, tutti assieme, formavano la “batteria”.

IERI

Nel 1960 un gruppo di grandi imprenditori, con una lungimiranza invidiabile, intuisce che ottenere una tutela normativa del Balsamico può aiutare di molto il business legato a questo prodotto dalle origini millenarie.
C’è un solo problema. Che il prodotto che si vuole tutelare NON è quello originale, ma è un “surrogato”, un alter-ego dalle origini industriali.
In passato era il mosto cotto (la pratica della “cottura del mosto” risale, documenti alla mano, a 30 anni prima di Cristo) e le decadi a “fare” il prodotto. Ora una miscela tra aceto di vino (solitamente un prodotto di scarto), mosto concentrato (non necessariamente cotto) e, per ovviare al problema di densità e colore, caramello.
Verrebbe da chiedersi cosa ha da spartire questo intruglio con il Balsamico della Tradizione.
In ogni caso nel 1965 un Decreto Ministeriale sancisce la nascita ufficiale dell’ “Aceto Balsamico di Modena”.
Quindi è a tutti gli effetti un prodotto da ascriversi alla categoria degli “aceto di vino”, considerato “speciale” per via delle correzioni che possono essere fatte e che deve essere imbottigliato in contenitori non inferiori a 250 ml.
Questo prodotto arriva oggi a toccare gli 80 milioni di litri di produzione solo in Italia. Sì perché in realtà è prodotto anche in Germania, Grecia, Spagna (probabilmente anche in Cina).
Non bastava che per vari anni il più grande produttore di Aceto Balsamico di Modena fosse di Afragola (Napoli) ma da qualche anno a questa parte è l’estero la vera culla del “Balsamico modenese”.
Tanto che l’Unione Europea ha deciso di accogliere, tra le due, la domanda dei produttori esteri per quanto riguarda il riconoscimento dell’IGP (Indicazione Geografica Protetta) che prevede la produzione del “Balsamico di Modena” con otto vitigni provenienti da tutto il mondo e il relativo imbottigliamento possa essere fatto in tutto il mondo. Niente quindi lega il prodotto alla zona che viene riportata nella denominazione. In fin dei conti se si usasse tutta l’uva dell’Emilia Romagna per produrre l’aceto di vino necessario anche solo per la produzione italiana di “Balsamico di Modena”, non si vedrebbe più in circolazione neppure una bottiglia di lambrusco.

E il “vero” Aceto Balsamico? Quello fatto solo con il mosto cotto e invecchiato per tanti anni nelle batterie di botticelle, lasciato maturare nei roventi sottotetti delle case e nei fienili delle province di Reggio Emilia e Modena?
Quello è stato prodotto con continuità dalla famiglie e, solo dopo circa vent’anni, rispetto a quel Decreto Ministeriale del 1965, i produttori si sono riuniti in Consorzi (divisi Reggio Emilia e Modena) per ottenere una denominazione che li tutelasse.
Nel 1984 quindi viene assegnata la DOC (era l’unica DOC assegnata ad un prodotto che non fosse vino) “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia” o “di Modena”.
Non classificato come “Aceto di vino” ma come “Condimento”.
Come si può notare la più grande differenza è la parola “Tradizionale” che richiama ovviamente la storia e che, ad un occhio attento, può costituire un campanello d’allarme nella scelta del prodotto.
In realtà sono stati attribuiti altri “contrassegni” per riuscire a differenziare il prodotto.
La bottiglia ad esempio, deve essere solo da 100 ml e con una forma particolare uguale per tutti i produttori (e diversa tra Reggio Emilia e Modena).
Due i “livelli qualitativi” previsti per il Tradizionale di Modena: l’affinato, invecchiato come minimo 12 anni (contraddistinto da una capsula color avorio) e l’extra-vecchio, invecchiato come minimo 25 anni (con la capsula color oro).
Per Reggio Emilia, oltre all’affinato (contraddistinto da un bollino color “Aragosta”) e all’Extra-vecchio (bollino oro) c’e’ anche il bollino argento, per indicare una qualità intermedia tra i 12 e i 25 anni (minimo) d’invecchiamento.

OGGI

I due “Aceti Balsamici Tradizionali” (di Reggio Emilia e di Modena) sono prodotti DOP dal 2003.
Nella loro bottiglietta da 100 ml, ottenuti solo con mosto cotto e invecchiati almeno 12 anni, non vengono imbottigliati dai rispettivi produttori ma dall’Ente Certificatore solo ed esclusivamente dopo degustazione anonima fatta da una commissione di cinque assaggiatori. Ciò significa che il prodotto può essere anche vecchissimo, ma se non è più buono o se ha dei difetti, non può essere imbottigliato.
Si capisce subito che non esiste controllo più rigido in tema alimentare.
In altri campi (olio, vino ad esempio) ci può essere una degustazione preventiva di un campione prelevato dal lotto che si vuole commercializzare, ma poi si lascia l’imbottigliamento al produttore.
Nel caso del “Balsamico Tradizionale” invece, dopo il prelievo dei campioni destinati all’analisi chimica ed organolettica, il lotto di prodotto viene sigillato e ri-aperto ed imbottigliato, in presenza del produttore, solo dopo la degustazione e da un ente terzo.
Il “Balsamico Tradizionale” ha una produzione che tocca circa le 150.000 bottiglie l’anno (ricordo, bottiglie solo da 100 ml). 22.000 sono quelle prodotte nella provincia di Reggio Emilia (dove esiste un solo Consorzio), il restante imbottigliate dai due Consorzi di Modena (c.d. “di Tutela” e “fra Produttori”).

L’ “Aceto Balsamico di Modena” (la miscela tra aceto di vino mosti concentrati, non necessariamente “cotti” ed eventualmente caramello) rappresenta invece circa il 98% del “Balsamico” in commercio.
Continua ad essere prodotto anche nella zona d’origine (Modena, Reggio Emilia ed Emilia Romagna in generale) ma soprattutto all’estero.
Basta essere fuori dall’Unione Europea e i prodotti chiamati genericamente “Balsamic vinegar” pullulano.
Gli imprenditori locali di questo prodotto si stanno battendo affinché l’IGP, già riconosciuta e nei confronti della quale hanno esposto ricorso, venga riportata nell’ambito locale; ormai sembra che l’Unione Europea continui a dare ragione alle istanze dei produttori extra-Italia (in particolare Grecia e Germania) riconoscendo la genericità del termine “Aceto Balsamico”.

UNA TERZA CATEGORIA

Esiste poi una terza categoria riconducibile al variegato mondo dei “Balsamici”.
Se infatti un produttore volesse ad esempio imbottigliare il prodotto avviato come “Tradizionale” (col mosto cotto quindi) ma venderlo prima dei 12 anni non potrebbe chiamarlo né “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia” o “di Modena” (perché non invecchiato abbastanza ovviamente) ma neppure “Aceto Balsamico di Modena” perché non prodotto con aceto di vino. Quindi? Quindi rimane classificato nell’ambito generico dei “condimenti” (non essendo fatto con aceto di vino) ed ogni produttore deve trovare un nome che non tragga in inganno o faccia confusione nei confronti dell’IGP o della DOP.
In particolare non può, ad esempio, essere chiamato “Condimento Balsamico” perché l’aggettivo Balsamico è “blindato” per le due denominazioni di cui sopra.
Non potrebbero poi essere aggiunti aggettivi tipo “extra-vecchio”.
Riflettendo su questa cosa, il prodotto può essere (dico “può” perché, non essendoci un disciplinare di produzione, la produzione è libera e dipende da produttore a produttore), può essere anche più “Balsamico” di un “Balsamico industriale” ma per il gioco delle denominazioni è vietato aggettivarlo così.
Per assurdo, il termine Balsamico può essere invece usato per un prodotto che non tragga in inganno oggettivamente, tipo il “Balsamico bianco” (una contraddizione in termini dato che il vero Balsamico deriva dalla cottura del mosto) o le glasse.

COMUNICARE LE DIFFERENZE

Ogni anno accolgo in visita alla nostra acetaia migliaia di persone.
Dopo aver visto l’acetaia, ascoltato le differenze e assaggiato i prodotti la maggior parte delle persone rimane sconvolta per quello che scopre.
Mi si chiede come poter distinguere il prodotto e dice che è uno scandalo che prodotti tanto diversi si chiamino praticamente allo stesso modo.
Rispondo, nonostante io sia soggetto a tali problematiche tutti i giorni, che tutto sommato non è poi così grave come per altri prodotti. Si pensi ad esempio all’Olio Extra vergine di oliva, il nome è uguale sia per un prodotto assolutamente industriale che per uno d’eccellenza.
Pensandoci bene infatti, nel nostro campo, le differenze sono palesate attraverso una, seppur minima, differenza di denominazione (la parolina “Tradizionale”) ma soprattutto da caratteristiche oggettive ben riscontrabili come la forma e la capacità dell’ampollina.

CONCLUDENDO

Per riassumere, il 98% circa del “balsamico” che si trova in circolazione si chiama “Aceto Balsamico di Modena”; solo una parte di questo viene prodotto effettivamente a Modena, una buona parte fuori e addirittura all’estero, non rispettando la tradizione millenaria ma solo quella “commerciale” (iniziata intorno agli anni ’20) e facendo una miscela tra aceto di vino e mosti concentrati (non necessariamente cotti) ed (eventualmente) caramello ed altre sostanze.
Il vero Balsamico della Tradizione invece si chiama, per l’appunto, “Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia” o “di Modena”, è un prodotto DOP e tutta la filiera, dalla vite, alla cottura del mosto (unico ingrediente) all’imbottigliamento avviene nella rispettiva provincia.
Non c’è nessun produttore che vive di solo “Tradizionale”.
Solitamente è un prodotto accessorio rispetto ad altre produzioni (esempio tipico, la cantina di vini che ha anche una piccola acetaia): solitamente l’economia di un’acetaia (che non sia solo privata-famigliare ma aperta al mercato) si sostiene con altri prodotti che il più delle volte sono l’”Aceto Balsamico di Modena” o, sempre di più ultimamente, diverse linee di “Condimenti” che, non dovendo seguire particolari disciplinari, possono essere fatti o solo con mosto cotto o con mosto e aceto di vino (ma quest’ultimo in percentuale minore). In più, i “condimenti” possono essere imbottigliati in qualsiasi tipo di formato.

Non è provocatorio concludere dicendo che il problema non sono gli “Aceti Balsamici” da supermercato che costano 2 euro a bottiglia; in questo caso infatti dovrebbe essere il nostro approccio critico a metterci sull’attenti e a farci diffidare dal fatto che si tratti di un prodotto “originale”. Una volta compreso questo, il prezzo è rapportato alla qualità offerta.
Il problema sorge se gli stessi prodotti, per una precisa scelta commerciale, vengono vestiti per la festa e posizionati non più sugli scaffali del grande magazzino ma nell’enoteca raffinata o nella gastronomia; magari il vestito prevede l’aggiunta di qualche numero che richiami spudoratamente fantomatici anni d’invecchiamento o, sempre più frequente, la densità sia estremamente alta con la differenza, rispetto al Tradizionale, che non è ottenuta tramite lenta evaporazione nelle batterie ma con qualche artificio.
Ritengo che questo sia peggio rispetto al primo caso perché qui il costo è sproporzionato rispetto al valore intrinseco del prodotto. Il diffondersi di questi prodotti che “imitano” il Tradizionale dipende anche da noi perché non dovremmo giudicare solo guardando (vedendo cioè numeri di ipotetici anni d’invecchiamento e alte densità) ma anche informandoci ed assaggiando.

Andrea Bezzecchi Acetaia San Giacomo

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